La visita del presidente Mattarella in Israele e in Palestina, pur conclusa con qualche anticipo per l’emergenza terremoto, è arrivata nel momento politicamente migliore. Non tanto perché sia ora possibile credere che un accordo tra israeliani e palestinesi sia alle porte, ma perché le circostanze hanno mostrato che, quando vuole, l’Italia in politica estera sa prendere senza timore posizioni autonome.
Arrivato in Israele appena dopo che la Ue aveva ribadito il diritto dei cittadini europei a partecipare alla campagna Boycott, Disinvestement and Sanctions contro Israele quale forma di «libertà di espressione e di associazione », il Presidente ha subito definito «inammissibile » il boicottaggio dello Stato ebraico. E questo avveniva a pochi giorni di distanza dalla ferma presa di posizione del premier Renzi e del Governo contro le risoluzioni dell’Unesco che facevano pensare a una sorta di monopolio islamico sui luoghi santi di Gerusalemme.
Nello stesso tempo, però, Mattarella ha ribadito con fermezza, sia in Israele sia in Palestina, che «la soluzione è quella dei due popoli e due Stati», secondo una formula che ha una lunga storia, ma è ormai respinta dal Governo israeliano (il premier Netanyahu a parole la auspica, ma per un tempo assai diverso da questo e molto molto futuro) ed è sempre stata invisa ai falchi palestinesi. Con un’altra frase importante, il nostro Presidente ha ricordato che «il culto della memoria non deve essere diretto ad alimentare i contrasti, rendendoli eterni».
Anche in questo caso un messaggio a entrambe le parti, un invito a piangere la Shoah e la Nakba (in arabo “disastro”, “tragedia”: l’esodo, forzato o volontario, dei palestinesi durante la guerra di indipendenza di Israele) senza trasformarle in un randello ideologico che finisce per disperdere le residue speranze di pace. Non sono molti, in Europa, i politici che oggi possono permettersi una simile franchezza. Abu Mazen, durante l’incontro con Mattarella, ha manifestato il proprio sostegno alla Conferenza di pace lanciata dalla Francia, e si è detto sicuro che l’Italia vi avrà parte importante. Certo è che nel nostro Paese lievitano, non da oggi, idee non banali sul Mediterraneo che potrebbero essere utilmente spese per il bene della regione fuori dal coro degli “schieramenti a prescindere”. La pace non lo è mai, banale.
E chiede anche alternative allo spartito che ci coinvolge, e che a suon di interventismi (l’attacco francese alla Libia nel 2011) ed esclusioni (il ruolo guida per la pacificazione della Libia cui il nostro Paese ambiva) negli ultimi tempi è stato interpretato assai male.