L'azzardo di Netanyahu avvicina al punto di rottura
giovedì 19 settembre 2024

Dove vuole andare Israele? E quali sono gli obiettivi del governo di Bibi Netanyahu, sempre più pencolante verso la destra radicale, religiosa o nazionalista che sia? I ripetuti attacchi telecomandati contro Hezbollah, con strabiliante dimostrazione di micidiale efficienza – al di là di ogni considerazione morale – sono la premessa per il definitivo allargamento del conflitto al fronte nord?

È oramai chiaro che il governo israeliano vuole che la guerra continui, e non solo contro Hamas a Gaza. Si è detto come per mesi Netanyahu abbia boicottato ogni proposta di armistizio perché sapeva che la pace avrebbe portato alla caduta del suo esecutivo e probabilmente alla sua fine politica. Ma ora, vi è molto di più. Da un lato egli sembra ritenere che continuare con gli scontri finisca per pagare politicamente, se si raggiungerà la vittoria definitiva contro i nemici dello stato ebraico. Dall’altro, riemerge palesemente la tentazione di sfruttare la propria straordinaria superiorità tecnologica, militare e di intelligence per sconfiggere e umiliare i tanti nemici alle sue frontiere. Il mito dell’epica vittoria del 1967, durante la Guerra dei Sei giorni, che annichilì le forze degli stati arabi coalizzati, ora rilanciata per spezzare il “cerchio di fuoco” iraniano. Quest’ultimo è la strategia costruita pervicacemente dalla Repubblica islamica per circondare Israele con milizie a lei legate: Hezbollah prima fra tutti, Hamas, gli Houthi nello Yemen, le milizie sciite in Siria e Iraq.

Da tempo militari e analisti israeliani segnalano come questo “assedio” rappresenti una minaccia gravissima, che offre all’Iran una deterrenza ibrida contro possibili attacchi diretti. Le mosse degli ultimi mesi sembrano indicare la volontà di spezzare il cerchio. Gli assassini di altissimi leader politici e militari di Hezbollah, di Hamas e degli stessi Pasdaran iraniani stanno a indicare che Israele non teme, anzi sembra quasi cercare, l’allargamento del conflitto. Ipotesi rafforzata dall’uccisione e dal ferimento di migliaia di membri di Hezbollah – assieme a tanti civili innocenti – tramite l’esplosione coordinata di cercapersone due giorni fa, walkie-talkie e altri terminali ieri. Un’operazione che sembra uscita da un film hollywoodiano e che non solo ridà prestigio al Mossad, dopo il fallimento del 7 ottobre scorso, ma si unisce pure al rafforzamento delle unità militari dispiegate lungo la frontiera nord.

Distruggere Hezbollah è l’ossessione delle forze di sicurezza israeliane. È il nemico più pericoloso e potente alle sue frontiere, che ha incrinato il mito della invincibilità israeliana già due volte, nel 2000 obbligando a una ritirata precipitosa dal sud del Libano occupato e nel 2006 con la guerra voluta dall’allora primo ministro Sharon e che finì per rafforzare la milizia scita invece di eliminarla. Ora con migliaia dei suoi membri sono feriti e centinaia resi ciechi e con il suo apparato di comunicazioni totalmente disarticolato, Hezbollah sembra debole e vulnerabile. La tentazione di agire adesso con un attacco massiccio potrebbe apparire irresistibile. Tuttavia, le forze militari israeliane sono provate da lunghi mesi di guerra, l’economia sta pagando prezzi molto alti, l’immagine del Paese nel mondo è offuscata dalle stragi compiute contro la popolazione palestinese. Soprattutto Hezbollah non è Hamas: è molto più potente, strutturata e rodata da decenni di guerriglia. E se Teheran può resistere alla tentazione di farsi coinvolgere quando Israele attacca il movimento islamista palestinese, difficilmente potrà restare inattiva dinanzi al rischio della sconfitta totale di una forza che rappresenta il pilastro della sua capacità di difesa ibrida nella regione.

Già in passato, come sostiene anche l’opposizione interna, la destra israeliana ha compiuto il peccato di hybris, l’orgogliosa tracotanza che gli dei classici non perdonavano ai mortali. Pensare che solo le armi, i bombardamenti indiscriminati che provocano stragi e gli assassini spettacolari daranno quella sicurezza che gli israeliani meritano e debbono avere. Significa inoltre assecondare nel Paese pulsioni xenofobe e razziste oggi tristemente rappresentate da molti dei partiti che sostengono il primo ministro.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: