Capita spesso, nello scrivere le leggi, che si diano risposte semplificate a questioni complesse, con il risultato non solo di non risolvere i problemi ma di peggiorare il quadro preesistente. L’istituzione di “pagelle” per i magistrati, licenziata pochi giorni fa sotto forma di decreto legislativo dal Consiglio dei ministri con l’intento proclamato di migliorare la qualità del servizio-giustizia, rischia di rientrare in tale filone e di costituire l’ennesima operazione di facciata, tanto suggestiva (monitorare il rendimento degli appartenenti a una categoria che non timbra il cartellino) quanto inadeguata. Gli obiettivi perseguiti attraverso la tenuta presso il Csm di un apposito “fascicolo del rendi-mento” per ciascun giudice e pubblico ministero sono tre: verificarne la laboriosità registrando annualmente le statistiche dell’attività svolta; accertare il rispetto dei termini previsti per il compimento degli atti; valutare l’esito finale delle richieste e dei provvedimenti. Sussiste però il concreto pericolo che la fotografia del magistrato restituita dal fascicolo sia parziale e distorta.
Anzitutto, il giudizio sulla produttività e sul rispetto dei termini presuppone l’esistenza di una macchina giudiziaria efficiente, dotata di personale amministrativo adeguato che provveda ad effettuare tempestivamente le comunicazioni e le notifiche. Chi frequenta le aule di giustizia sa che così non è. Negli anni si è accumulata una cronica carenza di cancellieri e assistenti che, non solo è una concausa della celebrazione delle udienze in tempi biblici, ma fa sì che molti fascicoli, dopo essere stati istruiti, giacciano negli armadi per tempi irragionevoli. D’altro canto, il freddo dato statistico non rende comunque giustizia, stante l’impossibilità di fare emergere le peculiarità dei procedimenti e dei casi concreti.
In sede civile, una causa per colpa medica non vale, in termini di impegno, quanto quella scaturita da una lite condominiale; analogamente un giudice penale intento a celebrare un dibattimento per un grave disastro, con la necessità di sentire decine di testimoni e di consulenti, farà fatica a smaltire i procedimenti per reati minori. Ancora, le statistiche non registreranno se non in minima parte le inerzie dei pubblici ministeri che avrebbero potuto, indagando seriamente, scoprire i responsabili di un reato e non lo hanno fatto, perché molto di rado i giudici respingono le richieste di archiviazione per essere ignoto l’autore di un fatto; così come non saranno verificabili le omissioni di chi avrebbe dovuto chiedere misure cautelari e, con la sua negligenza, non ha tutelato le vittime, protraendo ruberie, maltrattamenti o altre condotte efferate. Poi c’è il tema della qualità dei provvedimenti e del rilievo delle “gravi anomalie” giudiziarie. Ad essere censiti nel fascicolo del magistrato saranno ordinanze, sentenze, richieste di archiviazione, di misure cautelari e gli altri atti significativi che contrassegnano le varie fasi dei procedimenti, verificando le discrepanze fra le richieste dei pubblici ministeri e le pronunce dei giudici, fra i provvedimenti dei giudici di primo grado e quelli di appello e fra questi ultimi e quelli emessi dalla Corte di cassazione.
Quanto alla attività delle Procure, capita con una certa frequenza che il pubblico ministero faccia istanza di archiviazione e che il giudice per le indagini preliminari la respinga e gli imponga di mandare a giudizio l’indagato. Se all’esito del processo l’imputato viene assolto, della difformità fra il chiesto e il pronunciato dovrà rispondere il giudice che ha disposto l’imputazione coatta o essa entrerà a pieno titolo nelle statistiche delle difformità addebitabili al pubblico ministero? Magari registrando separatamente la doppia reiezione, per essere stata chiesta una archiviazione non accolta e per il successivo esercizio senza successo dell’azione penale? E, per finire, la considerazione delle anomalie fra richieste e pronunce potrebbe spingere i pubblici ministeri ad una eccessiva prudenza: per evitare che non venga accolta un’istanza di misura cautelare, sarà molto più semplice non chiederla o, nel dubbio, chiederne una meno adeguata alla gravità dei fatti ma che si presume non possa essere respinta. E così l’istituzione di fascicoli sul rendimento dei magistrati, oltre a creare distorsioni, rischia di portare ad effetti opposti rispetto a quelli auspicati.
Sostituto presso la Procura della Repubblica di Torino, membro della Commissione esaminatrice del concorso per la magistratura