La lunga serie di attentati che stanno devastando la Nigeria confermano, ancora una volta, che il terrorismo è il modo più subdolo di fare la guerra nel terzo millennio. Gli attentatori colpiscono all’improvviso uccidendo persone inermi, persone lontanissime dalla gestione del potere. E nel caso della Nigeria, per quanto il conflitto tra le forze jihadiste – tra cui spiccano i feroci Boko Haram – e il governo di Abuja stia progressivamente assumendo una connotazione religiosa, quasi fosse una guerra aperta tra cristiani e musulmani, dietro le quinte si celano interessi di oligarchie che hanno lo scopo di destabilizzare lo Stato di diritto.
Ecco che allora il terrorismo in Nigeria, come in altre parti del mondo, si rivela come quella mannaia, studiata ad arte, per spaventare le libere coscienze. A questo proposito, bisogna riconoscere che è stato grazie al buon senso e alla lungimiranza dell’episcopato cattolico nigeriano e di altri leader religiosi moderati se finora non è scoppiata quella guerra civile tra Nord e Sud che qualcuno vorrebbe suscitare a tutti i costi per fini eversivi. Detto questo, sarebbe un grave errore perdere tempo pensando che la posta in gioco sia marginale rispetto ad altre grandi partite geostrategiche, come ad esempio quella mediorientale.
Se da una parte va riconosciuto che le autorità nigeriane stanno facendo il possibile per garantire la sicurezza, soprattutto in prossimità dei luoghi di culto o di altri obiettivi sensibili, dall’altra non sembrano esservi state finora quelle decisioni politiche che, se attuate, potrebbero segnare la svolta. Anzitutto, è bene rammentare che le regioni settentrionali della Nigeria versano in un penoso stato di arretratezza rispetto al Sud, dove il business del petrolio è appannaggio delle grandi compagnie petrolifere straniere. Nelle regioni settentrionali, a stragrande maggioranza islamica, nelle quali da un decennio è in vigore la sharia, il mercato del lavoro non soddisfa la domanda dei ceti meno abbienti, mentre i livelli di istruzione sono bassi e i servizi sociali scadenti se non addirittura, in alcune zone, inesistenti.
A ciò si aggiunge il fatto che all’interno delle istituzioni federali, come delle Forze armate, emerge la contrapposizione tra nordisti e sudisti. Sintomatiche sono le connivenze, praticate da certi personaggi ideologicamente vicini al salafismo saudita, dentro i palazzi del potere di Abudja e dintorni. Ecco che allora si spiega come mai vi sia un continuo proliferare di formazioni armate qadeiste (non solo i Boko Haram), che vorrebbero imporre un regime islamico integralista.
Tutto ciò fa temere che la violenza dilaghi e che i rapporti regionali nel Paese perno dell’Africa occidentale si inaspriscano ulteriormente. Il recente golpe in Mali (in fase di soluzione grazie al coinvolgimento diplomatico della Comunità economica delll’Africa occidentale e di alcune cancellerie dell’Unione africana), come anche la secessione della regione dell’Azawad e i fiorenti traffici di armi e munizioni dalla Libia del "dopo Gheddafi", stanno determinando uno sconvolgimento geopolitico che dovrebbe spingere la diplomazia internazionale a un maggiore impegno in favore della sicurezza e della stabilità del Sahel e dell’intera Africa subsahariana. Quando si pensa che la Nigeria possa farcela da sola, «il serpente – recita un proverbio africano – ha già posto le sue uova nel nido delle aquile». Si dia allora seguito all’augurio formulato da Benedetto XVI, che «la gioia pasquale infonda le energie necessarie per riprendere a costruire in Nigeria una società pacifica e rispettosa della libertà religiosa dei suoi cittadini».