Caro direttore,
sulle unioni civili è venuto il tempo della buona volontà e del buon senso, se davvero le si vuole nel rispetto dei diritti di tutti: dei contraenti l’unione, ma non meno dei minori in essa coinvolti. Il primo punto, per chi vuole davvero la legge, è sganciare il suo testo da un’equiparazione surrettizia al matrimonio, per evitare le secche dell’incostituzionalità. I dubbi del Quirinale ne sono un segnale piuttosto chiaro. Il secondo punto, cruciale per la tenuta in Parlamento del provvedimento, è la stepchild adoption, la possibilità dell’adozione non legittimante del figlio naturale del convivente. Il cui stralcio a mio avviso non diminuisce i diritti in gioco in questa fattispecie di convivenze, anzi li accresce se essi non debbano limitarsi a quelli degli adulti omosessuali contraenti il vincolo, ma ampliarsi ai diritti dei minori coinvolti, nel senso innanzi tutto della loro tutela dalla possibilità del caso a essi sfavorevole; a cominciare da un minore concepito grazie a pratiche di utero in affitto.
Caso da un punto di vista logico, morale e giuridico non molto diverso dall’acquisto concordato di neonati quando non si poteva ricorrere alle nuove tecnologie della natalità. Acquisto che portava (e tutt’oggi porterebbe) venditori e acquirenti alla condanna morale e penale, e all’adottabilità del minore da terzi, estranei al traffico. Per scindere il nesso che può esserci tra stepchild adoption e maternità surrogata, bisognerebbe quindi vietare non solo la pratica dell’utero in affitto ma anche stabilire l’inidoneità dei bambini che ne siano il frutto alla stepchild adoption stessa; oppure essere coerenti, e liberalizzare il mercato della natalità come che sia, “tecnologica” o con metodi d’antan, compresa la (ben nota alle cronache) compravendita di neonati, magari commissionati. Un punto di vista difficile da sostenere.
L’argomento forte a favore della stepchild adoption è che il minore, in un’unione omosessuale, qualora dovesse venire a mancare il genitore naturale, si troverebbe senza tutele e destinato all’adozione o a procedure di affido. Questo è vero solo nel caso non ci sia l’altro genitore naturale o nessun altro familiare che se ne debba, voglia o possa far carico. E a ogni modo può ben essere il giudice a stabilire se il partner sopravvissuto al genitore naturale sia il candidato più idoneo all’adozione del minore con lui convivente in regime di unione civile, e persino il primo di cui valutare, se la richieda, l’idoneità all’adozione. Questo, diciamo così, è il caso favorevole, ove ricorra idonea relazionalità affettiva da parte di tutti i soggetti coinvolti.
Andiamo, però, a ipotesi sfavorevoli.
Che non ci sia questa idonea relazionalità affettiva tra adottante e adottato nel caso di perdita del genitore naturale. In un’unione civile tra persone dello stesso sesso un minore, un figlio, può giungere da una precedente unione eterosessuale di uno o entrambi i partner, o dalla generatività naturale coadiuvata da seme o utero esterno alla coppia di uno o entrambi i partner, ovvero da una generatività del tutto esterna alla biologia naturale della coppia, da un’adozione creata in laboratorio, scegliendo seme e ambiente uterino di sviluppo dell’embrione.
Oggi un minore ci può giungere – e non solo per le unioni omosessuali – tra le braccia o “in famiglia” così; con tutta una serie di dilemmi morali e giuridici su chi è figlio di chi, e su cosa può succedere al minore quando il genitore che in un modo o nell’altro lo ha avuto non ci sia più, quando per dirla con metafore che colgono nessi psichici profondi venga meno la tutela per lui della voce del sangue da cui è nato o quanto meno della voce del desiderio che lo ha voluto. E quando il genitore che gli resti dalla stepchild adoption non si senta a lui più vincolato da nessuna di queste due voci, di questi legami e impegni affettivi e psichici, ma li viva come puri obblighi giuridici che gli sopravvivano del partner. La vita è questa, e la favola di Cenerentola nella realtà non finisce sempre bene.
E inoltre, se passasse la stepchild adoption che ne sarebbe dei vincoli tra adottato e adottante nel caso di scioglimento di un’unione civile in cui il figlio minore così adottato sia conteso tra genitore naturale e genitore adottivo, nell’ipotesi che sulla scena si presenti un nuovo partner disponibile o sollecitato dal genitore naturale all’adozione? Decade la precedente adozione? Tra quante figure genitoriali – genitore naturale estraneo all’unione civile, genitore adottivo della prima unione civile, genitore potenziale della seconda unione civile – sarà contendibile il minore? Non sarebbe più saggio stralciare dalle unioni civili la stepchild adoption e avviare un ragionamento sull’adottabilità in ambito paragenitoriale, ovvero sulle nuove vie alla genitorialità aperte dalle tecnologie riproduttive e dai nuovi istituti familiari differenti dal matrimonio? Non escludendo a priori ovviamente dal ricorso all’adottabilità, in una normativa riformata, i contraenti unioni civili?
Eugenio Mazzarella - Ordinario di Filosofia teoretica, Università Federico II. Componente dell’Assemblea Nazionale del Pd. Già deputato nella XVI legislatura
Stralciare la stepchild adoption e consegnarla a una riflessione specifica e per nulla superficiale non è soltanto saggio, caro professor Mazzarella, è necessario. Così come è necessario stabilire, e lei porta serie ragioni, un non aggirabile divieto di ricorrere alla vergognosa pratica dell’utero in affitto (e del commercio di gameti). Un’iniziativa in questa direzione è caldeggiata da diversi esponenti politici di differenti partiti di centrodestra e di centrosinistra, ed è stata finalmente assunta ieri anche da un folto gruppo di senatori del Pd. È importante.