Proprio nel momento in cui in tutta Europa si accolgono generosamente addirittura quattro milioni di profughi ucraini, il governo britannico è salito alla ribalta con una proposta che muove nella direzione opposta, restringendo il diritto di asilo sul suo territorio. Come hanno annunciato Boris Johnson e la ministra dell’Interno, Priti Patel, Londra ha stretto un accordo con il governo del Ruanda per trasferire nel Paese africano i richiedenti asilo che attraversano la Manica su piccole imbarcazioni o nascosti nei camion, a rischio della vita.
Sono state 28.526 le persone che hanno varcato la Manica in questo modo nel 2021, più degli 8.000 del 2020, anno di blocco causa pandemia, ma molti meno dei richiedenti asilo accolti in altri Paesi europei: 56.000 in Italia nel 2021, che non è tra le principali destinazioni. Per Londra, 600 persone sbarcate nell’ultima settimana sono un allarme nazionale, tanto da annunciare niente meno che l’intervento della Royal Navy, la Marina militare britannica, a pattugliare le coste. I politici britannici hanno precisato due elementi aggiuntivi dell’accordo: primo, il piano è retroattivo e dovrebbe coinvolgere tutti coloro che sono arrivati nel corso del 2022, soprattutto se uomini soli; secondo, anche se gli sbarcati verranno riconosciuti come rifugiati, il governo di Sua Maestà sosterrà la loro integrazione in Ruanda, prevedendo un sostegno per cinque anni, ma non consentirà l’ingresso sul suo suolo.
Boris Johnson ha parlato niente meno che di un «partenariato per lo sviluppo economico» del Ruanda, a cui andranno 120 milioni di sterline di finanziamento, aggiungendo di essere sicuro che il Paese, tra i più poveri dell’Africa, avrebbe la capacità di ospitare decine di migliaia di persone negli anni a venire. L’intento, nemmeno nascosto, è peraltro la deterrenza: scoraggiare i richiedenti asilo dall’attraversare la Manica, agitando lo spettro della deportazione in Ruanda.
La retorica è sempre quella della lotta ai trafficanti e della volontà di salvare vite umane, ma in realtà a essere colpiti sono i profughi, che non dispongono quasi mai di mezzi legali per entrare in un Paese sviluppato e sono costretti ad affidarsi a chi offre il 'servizio' di trasporto. Probabilmente molti di loro vorrebbero esercitare lo stesso diritto concesso ai profughi ucraini: quello di scegliere dove cercare scampo, trovare protezione e progettare un futuro. In spregio al diritto internazionale dell’asilo, il governo Johnson vorrebbe invece criminalizzare anche loro, accusandoli d’immigrazione illegale.
Il vulcanico premier britannico non ha risparmiato neppure i difensori del diritto umanitario, accusandoli di fare affari ostacolando le deportazioni e limitando l’azione del governo. Sempre sul piano retorico, il governo di Londra ha contrapposto gli arrivi spontanei ai reinsediamenti autorizzati di rifugiati. Si tratta però di numeri assai modesti. Nel 2020 sono stati 34.400 in tutto il mondo, complice la pandemia, e il Regno Unito non è nelle prime posizioni, occupate da Canada, Usa, Australia.
Si promette accoglienza a certe condizioni, ma in realtà le condizioni sono tali da vanificare l’accoglienza. Londra tradisce un approccio neo-colonialista: approfittare dell’asimmetria di risorse e di potere con i Paesi in via di sviluppo non più (soltanto) per impadronirsi delle loro materie prime, ma anche per coinvolgerli nell’adempimento di obblighi umanitari al posto dei potenti finanziatori.
L’idea non è nemmeno originale. L’Australia, tra molte polemiche, lo fa da anni con le piccole isole indipendenti al largo delle sue coste, la Danimarca ci ha già provato, trovando finora l’ostacolo della pandemia. L’«esternalizzazione» dell’obbligo di protezione umanitaria si sta dotando di un nuovo capitolo: malgrado la crisi ucraina e l’esempio di solidarietà che i popoli europei stanno dando, i cacciatori di consensi a discapito dei diritti umani rilanciano la solita politica, muovendo da insospettabili capitali dalla lunga tradizione democratica.
C’è chi fa fatica ad ammetterlo e anche solo a pensarlo, ma questa è un’altra faccia della guerra a pezzi che sta squassando anche l’Europa e minaccia il mondo intero.