In quest’Italia che ha preso a dare troppo credito a malpensanti e malelingue c’è stato bisogno di un saggio collegio di supremi giudici amministrativi per ribadire – dopo una piccola e aspra baraonda di ricorsi e sentenze di Tar – che una benedizione cristiana data a scuola per tutti, condivisa da chi lo desidera e a nessuno imposta non è un insulto e tantomeno una violenza o una sopraffazione e neanche lontanamente una ferita alla libertà altrui. Una vera benedizione, del resto, è quello che la parola dice: bene-dire, dire il bene. E soprattutto chi crede in Dio la impartisce e la riceve con umiltà. Colpisce che sia dovuta echeggiare in una sede giudiziaria questa serena e lineare lezione sulla "laicità inclusiva", che pure è frutto di una grande e diffusa cultura italiana, lievitata nei secoli coniugando umano rispetto, civile accoglienza e identità cattolica. Troppi in diverso modo continuano a dimenticare le basi stesse della "nostra" antica e buona arte del vivere assieme. Forse questa riconfermata legittimità di un libero bene-dire può aiutarci a ricordare.
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