Dobbiamo tutti a Greta Thunberg il grandissimo merito di aver mobilitato i giovani di tutto il mondo e le nostre coscienze attorno all’emergenza ambientale e all’urgenza della transizione ecologica, diventando per questo un simbolo e un’icona a livello globale. La pre-Cop26 di Milano ha messo in evidenza come, anche e soprattutto grazie al suo impegno e al suo spendersi in prima persona, i giovani (la famosa next generation, la generazione futura che subirà in modo progressivamente maggiore le conseguenze negative dell’insostenibilità ambientale) sono riusciti a diventare interlocutori stabili delle istituzioni globali.
La strategia che sta utilizzando per raggiungere l’obiettivo che abbiamo tutti a cuore, però, ha un limite fondamentale perché non sfrutta appieno l’enorme potenziale che abbiamo a disposizione. Il fatto più recente che ci viene in mente quando pensiamo a Greta (oltre alle sue convinzioni personali, deludenti perché niente affatto coraggiose e lucidamente controcorrente, riguardo all’aborto come 'diritto') è il «blablabla» con il quale ha accusato i potenti di non fare abbastanza per la transizione ecologica. Efficace. Ma il limite del suo approccio, e in genere di quello del movimento Fridays for Future, – che sabato 30 sfilerà a Roma durante le trattative del G20 – è pensare che il cambiamento dipenda al cento per cento, o quasi, dalle decisioni dei potenti indipendentemente dai nostri comportamenti.
Indicativo da questo punto di vista un tweet nel quale la giovane attivista lancia l’allarme sul ritardo nella lotta contro le emissioni e conclude «certo lasciamo che se ne occupino i consumatori col voto col portafoglio...». Interessanti due tra le risposte ricevute in quest’occasione dai suoi followers. Il primo replica «le azioni individuali da sole non sono abbastanza, ma sono il catalizzatore del cambiamento di cui abbiamo bisogno». Il secondo, ringraziando Greta per il suo spendersi per la causa, rovescia la questione: «Non possiamo aspettare che i governi e le imprese facciano la cosa giusta. Se la gente non vota col portafoglio i potenti lo considereranno come un segnale che gli stessi non voteranno neanche alle elezioni per la sostenibilità ambientale. Se noi non agiamo, le istituzioni ci ignoreranno».
Due anni fa, prima della pandemia di Covid, con l’attuale ministro Enrico Giovannini, allora portavoce dell’Alleanza per lo Sviluppo sostenibile (ASviS), abbiamo scritto un articolo su 'Avvenire' lanciando i Saturdays for future e sostenendo che se i giovani del venerdì avessero annunciato a tutti che il giorno dopo avrebbero tutti insieme, e insieme ai loro genitori, iniziato a votare col portafoglio premiando nei loro acquisti le aziende leader nella sostenibilità ambientale, il cambiamento sarebbe iniziato. Il segnale infatti sui mercati sarebbe stato fortissimo e in grado di mettere in moto con molta maggiore decisione imprese e istituzioni. Nel paradigma dell’economia civile, non ci scordiamo di ricordarlo, il cambiamento ha bisogno di quattro mani: meccanismi di mercato, cittadinanza attiva, imprese responsabili e istituzioni lungimiranti.
Per questo è vero che il voto col portafoglio da solo non basta, ma è necessario. Se esercitato in modo deciso e convinto, può essere – e sarà – la chiave della messa in moto di imprese e istituzioni nella direzione giusta. Le grandi partite su cui si gioca il nostro futuro in termini di ecologia integrale sono, infatti, quelle degli investimenti per la sostenibilità, degli appalti responsabili, delle nuove regole del commercio internazionale ( border adjustment mechanism) con le quali la Ue si propone di sanzionare il dumping ambientale di imprese da Paesi terzi portando a nuove regole del gioco, orientate alla sostenibilità. Anche a partire da questo è attualmente in corso un negoziato tra Paesi sulla ripartizione degli oneri dell’aggiustamento.
Come ben sappiamo i politici sono condizionati nelle loro scelte dalle conseguenze immediate sul consenso degli elettori e dagli interessi delle lobby. Lobby che sono a loro volta espressione di imprese la cui sopravvivenza sul mercato dipende dalle scelte dei consumatori. Il vero 'potere forte' dunque alla fine siamo noi. Il gioco della comunicazione tende a mistificare questa verità con l’obiettivo di orientare questo potere nella direzione desiderata con le leve del marketing. Sta a noi diventare consapevoli che, in un momento urgente e decisivo per l’umanità come questo, il potere del voto col portafoglio dobbiamo prenderlo in mano ed esercitarlo per il bene comune.