La riforma del Terzo settore, giunta al Senato dopo una prima approvazione alla Camera, ha l’ambizione di dare forma giuridica a un concetto finora definito sul piano sociologico ed economico, cioè a quell’insieme di enti privati che perseguono finalità civiche e solidaristiche individuate con almeno tre elementi distintivi compresenti: l’operare in settori di chiara utilità sociale; l’avere una chiara finalità di interesse generale, con un beneficio pubblico o mutualistico; la non distribuzione di utili, né in forma diretta né indiretta.
L’esigenza di una rivisitazione complessiva – che sarà completata solo con i decreti legislativi successivi all’approvazione della legge delega – è emersa dalla consapevolezza che le buone leggi di questi ultimi vent’anni (su volontariato, cooperative sociali, associazioni di promozione sociale, onlus, impresa sociale) si sono tuttavia stratificate, se non sovrapposte. Si tratta di soggetti con finalità e caratteristiche comuni, ma è anche necessario chiarire meglio ruoli e vocazioni di ciascuno. Più in generale, si intende uniformare le norme civilistiche e quelle fiscali, che oggi appaiono tra loro in molte parti scoordinate o non armonizzate. C’è poi la volontà di mettere mano al Libro primo del Codice civile, in particolare alle norme su associazioni e fondazioni, che apparteranno al Terzo settore solo in quanto rispettose dei tre elementi succitati. Partiti, sindacati, associazioni di rappresentanza – ma anche, per esemplificare, le associazioni tra i golfisti o tra i proprietari di yacht – non ne fanno quindi parte. In particolare, va chiarito che le associazioni e fondazioni che svolgono attività commerciale possono farlo, ma rafforzando la tutela dei terzi e la trasparenza, a cominciare dagli obblighi di fatturazione e bilancio. Tra le sfide si annovera anche quella di separare il grano dal loglio: un obiettivo decisivo, visti i recenti scandali che rischiano di squalificare un’intera realtà fatta, quasi sempre, di altruismo e generosità.
Esclusione dei benefici in assenza dei requisiti, maggiori obblighi contabili per chi oggi ne ha pochi, regole più chiare nella
partnership con la pubblica amministrazione, potenziamento delle forme di autocontrollo e di rappresentanza, limiti alle spese destinate ad organizzare la raccolta fondi, fiscalità di vantaggio con diverse gradualità: questi e altri sono gli elementi tesi a evitare abusi e comportamenti opportunistici. Non manca, poi, l’impegno a semplificare la norma e la pratica, con la previsione di un Codice unico del Terzo settore e con nuove procedure, soprattutto sulla concessione della personalità giuridica, l’iscrizione e la tenuta dei registri. Sono anche potenziate le misure di sostegno con strumenti innovativi, quali le obbligazioni sociali, la raccolta di capitale sociale per via telematica, la messa a disposizione di immobili pubblici statali, anche per favorire il loro recupero. L’impresa sociale è anch’esso un concetto finora più rappresentato in teoria che normato (anche se esiste una legge del 2006, sostanzialmente disapplicata) e individua quegli enti privati di Terzo settore che operano esclusivamente o prevalentemente per produrre e vendere beni e servizi, nel rispetto dei tre elementi distintivi prima ricordati. Non è dunque solamente un’impresa che opera nel sociale, perché debbono essere chiare le ricadute prevalenti in termini di pubblico beneficio e rispettati i vincoli nonprofit.
L’obiettivo della legge è fare in modo che quanti già agiscono oppure opereranno nel Terzo settore in modo imprenditoriale (cooperative sociali ma anche associazioni, fondazioni, enti religiosi e domani magari anche Spa, Srl) lo facciano con maggiori e omogenei incentivi e vantaggi fiscali, ma anche con maggiore trasparenza. Ultima, ma non meno importante, vi è l’idea di rafforzare il Servizio civile per farlo diventare, poco per volta, universale, cioè per tutti i giovani che lo vorranno. È l’idea di ripristinare una leva civile, sia come forma di servizio non armato per la comunità, sia come fondamentale esperienza di vita che può portare a formare una coscienza civica e solidale. Il disegno dunque è ambizioso, anche perché una buona norma, tanto più questa, non deve eccedere e imbrigliare la libera espressione sussidiaria.
Essa permette di rispondere a bisogni insoddisfatti o ne assicura una risposta più vicina e partecipata e, più in generale, contribuisce a realizzare un reticolo di fiducia e di legami fondamentale anche per dare all’economia e alla politica solide basi etiche.
*Vicepresidente dei senatori del Pd e relatore del disegno di legge