Non si è mai vista una così grande rilevanza della bioetica nelle nostre vite come in questi 18 mesi di pandemia: dalle organizzazioni sovranazionali ai governi di singoli Paesi e territori, le più importati decisioni in merito alla gestione di Covid-19 sono state innanzitutto etiche. La stessa scelta del lockdown, se e cosa interrompere delle attività lavorative e sociali, le regole del distanziamento e l’individuazione dei rapporti personali irrinunciabili.
Ricordiamo tutti i tormentoni sui congiunti e sugli invitati al pranzo di Natale; la riorganizzazione sanitaria nell’emergenza, a partire dai criteri per l’accesso alle terapie intensive e alle cure, sia per i malati di Covid che per gli altri; l’isolamento di disabili e anziani nelle strutture residenziali e dei reclusi nelle carceri; il dramma delle morti in solitudine negli ospedali; e poi l’enorme questione dei vaccini, con le problematiche per la loro sperimentazione e autorizzazione al commercio, la scelta possibile fra i diversi tipi e la vaccinazione eterologa, le priorità per l’accesso, l’obbligo e il Green pass; le diseguaglianze sociali emerse e accentuate; la questione ambientale che si profila dietro il salto di specie del virus: potremmo continuare a lungo nell’elenco delle problematiche etiche e le relative decisioni che nell’ultimo anno e mezzo hanno sconvolto le nostre vite.
Eppure, paradossalmente, la bioetica è scomparsa dall’agenda pubblica, mai chiamata in causa esplicitamente nell’intero dibattito, sia politicoistituzionale che mediatico. Si è sempre ragionato in termini etici, ma senza dirlo, probabilmente senza accorgersene. Non è accaduto solo in Italia: lo ha osservato di recente anche Danielle Hamm, Direttrice del britannico Nuffield Council on Bioethics, che ha ribadito l’importanza della riflessione etica nell’agorà senza però chiedersi il perché dell’evidente contraddizione, cioè il discutere continuo di questioni etiche, senza riferirsi apertamente alla loro natura.
Al netto del rapporto fra i concetti di etica e bioetica, il problema è che la bioetica, nel tempo, è stata sempre più percepita nel dibattito pubblico come l’ambito di riflessione intorno ai cosiddetti 'nuovi diritti individuali'. Al di fuori delle accademie e dei percorsi degli studiosi di settore, la bioetica è considerata il discorso sulla fecondazione assistita e l’eutanasia, la ricerca sugli embrioni e le manipolazioni genetiche, tanto per fare qualche esempio, e più in generale circa l’impatto biotecnologico sulla vita dei singoli, specie in ambito medico. Ma soprattutto il fil rouge intorno a cui si è articolata tanta riflessione è stata l’idea di autodeterminazione.
Nel tempo si è sempre più consolidato il convincimento che una compiuta realizzazione di sé implichi necessariamente una piena autonomia decisionale, intesa come completo controllo sul proprio corpo e del proprio corpo, che può anche prescindere dalle relazioni interpersonali e da ciò che produce come conseguenze. Lo strumento per realizzare tutto questo è quello giuridico del 'consenso informato': una scelta è considerata legittima purché chi la compie abbia avuto la possibilità di informarsi completamente e correttamente. In altre parole, nel tempo si è arrivati a tutelare la scelta in quanto tale, più che l’oggetto della scelta stessa, e sono state considerate parimenti legittime tutte le scelte purché informate adeguatamente.
Una 'cassetta degli attrezzi' incentrata sul singolo individuo, quindi, che ha mostrato tutta la sua inadeguatezza di fronte a Covid-19. Come ricordava nel fine ottocento Rudolf Virchow, padre dell’anatomia patologica, «un’epidemia è un fenomeno sociale che ha alcuni aspetti medici». Il contagio implica la relazione fra umani, che è strumento del propagarsi dell’infezione e al tempo stesso chiave di risoluzione del problema, purché di quella relazione si ragioni nella sua dimensione solidale. Covid-19 ha rimesso al centro la salute pubblica, nel senso di tutela del paziente collettivo, costringendo a considerare le conseguenze dei comportamenti dei singoli nella comunità, e quindi nel governo del Paese.
Ma abituati ormai all’etica intesa principalmente nell’ottica delle scelte individuali, non ne abbiamo messo esplicitamente a tema la centralità. Se è vero che le questioni intorno ai 'nuovi diritti individuali' stanno continuando la loro strada, proseguendo un percorso ormai delineato dal punto di vista giuridico e antropologico, c’è la necessità di recuperare e ridefinire due pilastri della riflessione etica: 'solidarietà' e 'bene comune', parole che aspettano di essere riempite di significato alla luce dell’esperienza pandemica, da cui ancora non siamo usciti. Due 'mattoni' in una costruzione bioetica rinnovata, un’occasione per ripensarne un approccio da un punto di vista relazionale, anche per rileggere e valutare il percorso fatto finora dalla bioetica, e i suoi esiti.