Caro direttore,
in queste ore si tiene in Portogallo, a Porto, il vertice dei leader europei per rilanciare il “pilastro sociale” dell’Unione. La pandemia ha fatto riscoprire il valore di ciò che definisce l’identità stessa dell’Europa: la solidarietà. Next Generation Eu è stato un esempio di una risposta solidale, che deve aprire una pagina nuova. Ora, serve una svolta sociale. È un percorso difficile, su cui pesano gravi incertezze, a partire alle divisioni sulla liberazione dei brevetti per i vaccini Covid o all’omissione europea nel Mediterraneo dei naufragi. Ma la solidarietà ha ripreso il suo cammino, a tutti è chiaro quanto sia un investimento, più nessuno mette in discussione l’esigenza di rafforzare il modello sociale europeo, per una transizione ecologica e digitale “giusta”, per contrastare le disuguaglianze sociali e territoriali.
I leader guidati dal premier socialista Costa discuteranno di formazione permanente, occupabilità, innovazione, servizi di cura e conciliazione, reti inclusive di sostegno del reddito e contrasto alla povertà. Un’agenda, stavolta, non solo da dichiarare, ma da perseguire con determinazione, senza ambiguità. Il presidente Biden non è stato ambiguo, ha detto davanti al Congresso degli Stati Uniti che la trickle-down economy (il cosiddetto “effetto sgocciolamento”, secondo il quale una parte dell’arricchimento dei più ricchi finisce con il giovare anche ai più poveri) non ha mai funzionato. Ha lanciato l’American Jobs Plan, non una dichiarazione d’intenti, ma 2mila miliardi di dollari di investimenti per creare nuovi e buoni posti di lavoro. Un altrettanto imponente piano sociale. Una riforma fiscale per cui chi ha di più paga di più. Una tassazione minima globale sulle grandi corporation, l’allargamento dell’accesso gratuito a molte prestazioni sociali dalla sanità, all’istruzione, all’università. E il miglioramento delle retribuzioni di operatori sociali, insegnanti e lavoratori dei servizi essenziali, parte integrante di quel ceto medio impoverito cui tornare a dare risposte e riconoscimento sociale.
L’Europa non può mostrarsi timida e l’Italia è il Paese che ha più interesse a una vera svolta. La ripresa ci sarà, ma potrebbe essere profondamente diseguale, per i lavoratori, le imprese, i territori. L’Italia ha un bacino di persone potenzialmente occupabili di quasi 6 milioni. Per raggiungere i target che la Commissione si è data al 2030 dovrebbe assorbirli quasi tutti. La maggior parte tra le donne, i giovani, al Sud.
Il dramma sociale che si nasconde dietro quei numeri, aggravato dall’ultimo anno malgrado le misure senza precedenti per la difesa del lavoro e il sostegno ai redditi, non si risolverà da solo, con le riaperture. Noi proponiamo un grande Patto per la Ricostruzione e per il Lavoro, che coinvolga imprese e sindacati, Terzo settore e reti di cittadinanza, le amministrazioni locali, i territori. Nel 1993, il governo Ciampi unì l’Italia in un grande accordo. Allora bisognava contenere l’inflazione, oggi serve consolidare la svolta in Europa. Dobbiamo unire, ricucire l’Italia con il lavoro, puntando sulla quantità e la qualità. Nel Pnrr, grazie all’impegno del Pd, vi è una clausola trasversale per vincolare incentivi e investimenti alla crescita dell’occupazione giovanile e femminile, in particolare al Sud. Non un obiettivo, dunque, ma una condizione. Tra fondi nazionali e altri fondi europei sono disponibili ulteriori 200 miliardi di investimenti nei prossimi anni, dobbiamo ricondurli a un’unica strategia.
Abbiamo fatto un primo passo, ne servono molti altri. Le semplificazioni per realizzare gli investimenti vanno accompagnate con un forte controllo di legalità negli appalti: illegalità è anche la mancata sicurezza sui luoghi di lavoro, per cui non servono altre leggi, servono più formazione e più controlli per fermare la strage quotidiana di lavoratori. Soprattutto, è urgente una profonda rigenerazione amministrativa con l’immissione di 500mila nuove competenze di giovani nella macchina pubblica. La riforma delle politiche attive e degli ammortizzatori sociali, a cui sta lavorando il ministro Orlando, è fondamentale per dare impulso e equità alla transizione ecologica e digitale del sistema produttivo. Poi, non possiamo sprecare le lezioni della pandemia: proprio sul fronte del lavoro abbiamo scoperto quanto essenziali siano i lavori di cura e i servizi digitali. Sono però anche luoghi di sfruttamento. Nell’economia delle piattaforme, i processi di sindacalizzazione hanno portato a risultati importanti, ma è tempo di promuovere un nuovo Statuto dei lavoratori al tempo dell’algoritmo. Vogliamo creare lavoro nelle infrastrutture sociali, ma oggi il lavoro di cura è spesso povero, precario, sommerso, malpagato. È uno scandalo che riguarda in Italia oltre 2 milioni e mezzo di persone, che dobbiamo contrastare con nuovi strumenti normativi, anche nel quadro di una riforma del Reddito di cittadinanza, ma soprattutto riconoscendo valore legale erga omnesdei contratti collettivi firmati dai sindacati rappresentativi: non solo un salario minimo, ma tutele massime. Infine, così come vogliamo accompagnare la Ricostruzione con una nuova stagione dei diritti, dobbiamo rigenerare la nostra democrazia economica: è tempo di promuovere la partecipazione dei lavoratori nella governance delle aziende.
Su questi temi, nel quadro della discussione europea che si apre a Porto, costruiamo un’Italia nuova. L’agenda sociale che ci serve dopo la pandemia è la cura, il nutrimento della democrazia nel tempo nuovo.
Vicesegretario del Pd