Costruire il futuro non è, né sarà mai, un’impresa semplice. Avviluppati nelle spire di una crisi che strangola, storditi da un bombardamento continuo e confuso di parole e ricette che, invece che avvicinare, sembrano rendere irraggiungibile la fioca luce che vogliamo intravvedere in fondo al tunnel; incerti circa quale futuro, se non dubbiosi che mai possa esserci, quell’impresa arriva ad apparire perfino impossibile. Chi qualcosa ha, cerca di tenersela ben stretta. E chi ha poco, o non ha niente, si arrangi pure.
In questa contemporanea declinazione dell’antico
mors tua, vita mea, c’è tutta la tragedia dei nostri giorni. La tragedia dell’uomo globalizzato che ha scoperto di non avere strumenti adeguati ai bisogni, e si inventa improbabili fughe in avanti per sfuggire a una realtà che sempre, comunque, lo supera. E Francesco, che con affilata semplicità ricorda che «oggi, o si scommette sulla cultura dell’incontro, o tutti perdono», mette ciascuno di noi di fronte all’essenziale, all’indispensabile, all’irrinunciabile: non c’è democrazia, se non è per tutti. Non c’è sviluppo, se non è per tutti.
Si dice sempre, ed è vero, in fondo, che la Chiesa «non dà ricette». Ma nel discorso che ieri il Papa ha rivolto alla "classe dirigente" del Brasile c’è qualcosa in più di una ricetta. Che vale per il Brasile, certo, ma certo anche per tutte le classi dirigenti del mondo, e, a ben vedere, per ognuno di noi. Perché i "tre aspetti" dello "sguardo calmo, sereno e saggio" indispensabili per affrontare il futuro – «primo, l’originalità di una tradizione culturale; secondo, la responsabilità solidale per costruire il futuro; e terzo, il dialogo costruttivo, per affrontare il presente» – sono gli ingredienti per costruire una vita vera, una società vera.
Francesco ne ha già fatto, in poco più di quattro mesi, una sorta di
leitmotiv del suo esercitare il ministero petrino. Ieri, nel treatro municipale di Rio De Janeiro, ha per la prima volta messo in fila tutto questo.
Risuonano, in questo discorso, fortissime, eco di alcune delle pagine più alte del magistero di Benedetto XVI, il discorso al Collège des Bernardins, quello a Westminster Hall, e al Reichstag di Berlino. Ricette in cui il valore di quello che consideriamo "immateriale", come Papa Bergoglio ha ripetuto proprio l’altro giorno, è valore irrinunciabile, in quanto è l’unico, vero ingrediente per poter costruire ciò che è concreto. Una commedia di Kaufman e Hart, Non te li puoi portare appresso, metteva in scena già nel ’37 le paranoie distruttive di una società che si andava sempre più legando alle "cose". Se tutti, oggi, dessimo più valore a tutto quello che non potremo mai portarci appresso, probabilmente quella luce fioca in fondo al tunnel inizierebbe a farsi più vicina.