La Russia considererà i veicoli che trasportano armi Usa o Nato sul territorio ucraino come "bersagli militari legittimi", anche se fossero veicoli americani o di altri Paesi dell'Alleanza. Il viceministro degli Esteri, Sergei Ryabkov, ha insistito sul fatto che saranno considerati obiettivi legali di guerra: "Stiamo facendo capire che i tentativi di rallentare la nostra operazione speciale, per infliggere il massimo danno ai contingenti russi e alle formazioni delle Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk saranno duramente repressi". Ovviamente, Mosca ha sempre cercato di intercettare i rifornimenti esteri all'esercito ucraino, ma poche volte vi è riuscita. Probabilmente, gli armamenti di provenienza occidentale dal confine polacco, romeno o moldavo viaggiano su mezzi di Kiev, proprio per evitare incidenti. Ma queste dichiarazioni esplicite di Mosca sono interessanti per il tema della legalità/legittimità delle azioni condotte da tutti i soggetti coinvolti nella guerra, giunta al suo 49° giorno.
Che sia Mosca a parlare di azioni legali è per molti aspetti sorprendente e fa parte della strategia di disinformazione e stravolgimento della realtà di cui l'apparato di potere russo è un indubbio campione. L'Armata ha invaso un Paese sovrano violandone l'integrità territoriale senza nessuna giustificazione a livello del diritto internazionale. Inoltre, le truppe russe stanno commettendo una serie di azioni che per molti osservatori configurano palesemente crimini di guerra e contro l'umanità. Si tratta di attacchi indiscriminati contro obiettivi civili, uccisioni dirette di persone non belligeranti, stupri sistematici e torture. Inoltre, è stato denunciato l'uso di armi proibite dalle convenzioni che anche la Russia ha firmato, tra cui bombe a grappolo e bombe al fosforo. La Corte penale internazionale, cui né Mosca né Kiev hanno formalmente aderito, sta indagando su una già lunga serie di episodi che si sono verificati nelle zone occupate dai soldati inviati dal Cremlino a "denazificare" il Paese confinante.
In questo conflitto parlare di legalità è quindi assai problematico da parte russa. Putin sta per lanciare un'offensiva massiccia sul Donbass, dopo avere concentrato le truppe nell'Est. L'obiettivo è quello di prendere il pieno controllo di una zona nella piena legittima sovranità dell'Ucraina, anche se Donetsk e Lugansk, a partire dalla prima invasione del 2014, sono state dichiarate entità autonome e successivamente, in febbraio, poco prima dell'avvio dell'attacco, proclamate unilateralmente dal capo del Cremlino "indipendenti". Anche l'obbligo per le nazioni "ostili" (secondo Mosca) di pagare in rubli l'energia costituisce una violazione dei contratti stipulati e, quindi, una mossa illegale, come è stato fatto notare da vari governi occidentali. Infine, la decisione russa di spostare un contingente militare verso il confine finlandese, proprio nelle ore in cui Helsinki ha accelerato la procedura per l'ingresso nella Nato dopo decenni di neutralità, configura un'altra illegittima interferenza nelle scelte democratiche di una nazione che è stata a lungo letteralmente succube dell'Unione Sovietica.
In questo quadro, la riammissione di Mosca nel consesso internazionale come interlocutore paritario dovrebbe passare da una de-escalation in cui però tocca a Putin compiere i passi principali verso un ristabilimento della legalità. Il presidente americano Biden si è spinto a parlare di un tentativo di genocidio in corso. Il presidente francese Macron (e, più prevedibilmente, la Cina) hanno preso le distanze da un'accusa che per ora è infondata, poiché il genocidio presuppone caratteristiche ben precise che l'invasione dell'Ucraina attualmente non possiede. Il regime delle sanzioni e dei sequestri di beni a istituzioni e persone fisiche russe deciso in molti Paesi occidentali si pone spesso al limite delle legalità, soprattutto quando colpisce in modo non mirato ampi gruppi di cittadini. Ma la bilancia, com'è abbastanza evidente, pende fortemente dalla parte del Cremlino. E questa circostanza non potrà non pesare sulle future, necessarie, trattative di pace.