Abbiamo superato le sei settimane di guerra, 42 lunghissimi giorni che si stanno rivelando giorni di feroci combattimenti ma anche di orrori indicibili sui civili ucraini. Prima i bombardamenti indiscriminati sulle città, poi sono emersi i crimini sistematici in alcune città occupate fin dai primi giorni dell'invasione. A Bucha e negli altri centri affratellati dalle violenze subite, i militari russi in ritirata non si sono nemmeno preoccupati di nascondere le prove dei loro delitti. Quasi tutto è documentato, fra poveri resti delle vittime, foto satellitari, immagini, racconti e testimonianze dirette. Ciò non vuole dire che si potrà facilmente risalire ai responsabili, né tanto meno portarli davanti a un tribunale. A Mariupol, dove i crimini sono stati con grande probabilità su scala ancora più larga, sembra che ora l'Armata di Mosca cerchi di occultare i cadaveri cremandoli. Le storie agghiaccianti che vengono rese note mostrano il volto più disumano di un conflitto che è degenerato in un tempo rapidissimo.
Nessuna guerra è mai "pulita", ma storicamente le peggiori nefandezze si manifestano quando lo scontro incancrenisce, si trascina, le truppe sono provate da mesi o anni di battaglie e anche gli standard etici si abbassano di conseguenza. Ciò che si sta osservando in questa occasione è invece una tendenza a non rispettare i non belligeranti fin dal principio. Forse pesa quello che carte trafugate paiono indicare con sempre maggiori dettagli: la preparazione militare dell'invasione si è nutrita anche di una campagna di discredito e di odio del nemico, che non era soltanto il vertice dello Stato ucraino, ma anche il popolo non disposto a farsi "denazificare" e di nuovo "russificare". Si è messo in moto un meccanismo di distruzione sistematica di un Paese che, come disse Putin, di fatto non esiste.
Davanti allo svilupparsi della crisi lungo queste linee sembrerebbe urgente una mobilitazione diplomatica per arrivare a una tregua e mettere fine alle mattanze.Ma si deve prendere atto che per un'ampia porzione della cosiddetta comunità internazionale quella in Ucraina è soltanto una delle tante guerre che punteggiano periodicamente le carte geopolitiche del mondo. Se il fronte occidentale si è mobilitato per sostenere la resistenza di Kiev e, come da voti all'Onu, soltanto un pugno di Stati si è schierato apertamente con il Cremlino, un'ampia fetta di Paesi ha scelto una neutralità che sconfina nell'appoggio tacito e indiretto all'aggressore. A partire dalla Cina e dall'India, per arrivare al Brasile e al Sudafrica, per finire con i Paesi arabi, non si vede una reale volontà di spingere Mosca a un negoziato né di metterla in quarantena perché ponga freno alla sua operazione bellica. Le sanzioni che Usa e Gran Bretagna hanno appesantito in queste ore potranno ulteriormente fiaccare l'economia di Putin, ma non metterla definitivamente in ginocchio, se essa potrà contare su altre sponde (e sul gas venduto all'Europa).
L'inerzia dell'Onu, giustamente sottolineata dopo il vibrante appello del presidente Zelensky davanti al Consiglio di sicurezza, non è tanto un'accidia dell'Organizzazione in quanto tale - il segretario generale Guterres è tra i leader più sensibili e attivi - ma dei suoi membri, che sfruttano l'architettura pensata per non turbare gli assetti usciti dalla Seconda guerra mondiale. Con i poteri di veto concesso alle grandi potenze, nessuna proposta che vada contro gli interessi di un membro permanente del massimo organo delle Nazioni Unite potrà avere mai il via libera. Ma se un'ampio schieramento, sia numerico sia ampiamente rappresentativo della popolazione e delle economie mondiali, proponesse un'iniziativa politica credibile, difficilmente la Russia potrebbe ignorare il rischio di un pressoché totale "accerchiamento".
Attualmente, dunque, la tenace resistenza dell'esercito di Kiev - capace finora di distruggere quasi il 40% dei mezzi impiegati sul campo da Mosca, se sono vere le stime circolanti - sta impedendo al Cremlino di ottenere quei risultati che esso considera necessari per sedersi a un tavolo di pace, mentre mancano mosse non militari per abbreviare il conflitto. Anche la Nato prevede adesso che la guerra possa tragicamente prolungarsi, con le immaginabili conseguenze in termini di vite, distruzioni, profughi e recessione economica globale. Rimane perciò sconcertante la miopia da parte di tanti governi che finiranno presto o tardi con il pagare anch'essi un conto salato alla loro inazione (o la loro complicità).