La guerra in Ucraina è arrivata al giorno 306 e ha visto tragicamente "oltre 40 attacchi missilistici" russi durante il Natale cattolico, proprio mentre il presidente Vladimir Putin affermava di essere "pronto a negoziare". Nel mirino delle truppe di Mosca, decine di città nelle regioni di Lugansk, Donetsk, Kharkiv, Kherson e Zaporizhzhia. Kherson è stata la più martoriata: le vittime sono state 16 per i colpi di artiglieria sull’importante centro del Sud da poco liberato dall’occupazione. Le autorità hanno nuovamente esortato i residenti ad evacuare a causa dell'intensificarsi dei bombardamenti dalla sponda orientale del Dnper.
Sull’altro fronte tre militari della Federazione sono morti dopo essere stati colpiti dai detriti di un drone ucraino che aveva attaccato la base aerea di Engels, nei pressi di Saratov, a circa 500 chilometri a nord-est del confine tra i due Paesi in conflitto. Il raid è "una conseguenza di quello che ha fatto la Russia", ha detto un portavoce delle Forze Aeree di Kiev. "Se i russi pensavano che la guerra non avrebbe toccato nessuno nelle loro retrovie, si sbagliavano di grosso”.
Nelle stesse ore, quattro "sabotatori ucraini" sono stati "eliminati" quando hanno tentato di infiltrarsi in territorio russo, nella regione di Bryansk, secondo quanto afferma il servizio segreto Fsb, citato dalla Tass. Sembrano dunque moltiplicarsi le incursioni ucraine in basi o installazioni militari sul suolo di Mosca, nel tentativo di destabilizzare il nemico, mostrandone la debolezza del suo dispositivo difensivo. In questo senso era stato significativo il bombardamento mirato nella regione di Donetsk occupata dai russi lo scorso 21 dicembre, in cui era rimasto colpito l'ex vice primo ministro e fedelissimo del Cremlino Dmitry Rogozin, che potrebbe ora rischiare la paralisi per le ferite riportate.
Sul fronte bellico si segnala anche l’opera di sistematica posa di mine da parte delle truppe della Federazione nei territori sotto il proprio controllo, al fine di frenare l’avanzata ucraina, che nel Donbass non si arresta nemmeno in questi giorni. Tra le bombe e i tentativi di celebrare le festività cristiane, vi sono tuttavia elementi che indicano qualche positivo movimento diplomatico.
Dopo le dichiarazioni di Putin (che però accusa l’Occidente di non volere una tregua), il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha parlato con il premier indiano Narenda Modi (chiedendogli di mediare) della sua "formula" per la pace, un piano in dieci punti che è già stato in parte discusso con il presidente Usa Biden alla Casa Bianca e dal segretario di Stato americano Blinken con i Paesi del G7. A Natale è arrivato poi l’ulteriore, vibrante e accorato appello del Papa per la pace. Infine, con un altro gesto distensivo, Mosca si è detta pronta a fare ripartire il gasdotto Yamal verso l'Europa, come ha confermato il vice-premier Alexander Novak, aggiungendo che nonostante la guerra il mercato europeo rimane "aperto" per il gas naturale liquefatto russo.
La Chiesa greco-cattolica e quella ortodossa che si è distaccata dal Patriarcato di Mosca hanno intanto deciso di avviare un percorso per unificare la data del Natale al 25 dicembre. È stato il sito dei cattolici di rito bizantino, a dare notizia che il Capo della Chiesa greco-cattolica ucraina, Sviatoslav Shevchuk, e il Metropolita di Kiev e di tutta l'Ucraina, primate della nuova Chiesa ortodossa del Paese, Epifanio, si sono incontrati il 24 dicembre per avviare il processo di riunificazione delle date. Epifanio aveva già indicato ai fedeli ortodossi che avrebbero potuto celebrare anche il 25 dicembre (e non più solo il 7 gennaio) e di fatto la nuova data è stata alla fine scelta dalla maggior parte dei suoi fedeli. Si tratta di una delle conseguenze della guerra e dello schierarsi apertamente della Chiesa ortodossa che fa capo al Patriarcato di Mosca con le scelte politiche e militari del Cremlino.
Se l’ipotizzata e soprattutto auspicata tregua per le festività natalizie si è rivelata impraticabile, le ultime mosse seguite al viaggio di Zelensky negli Stati Uniti potrebbero aprire uno spiraglio per un percorso (lungo) di riavvicinamento negoziale tra le due parti in guerra. In un'intervista, il ministro degli Esteri di Kiev, Dmytro Kuleba, ha detto che il suo governo punta a tenere un vertice di pace entro la fine di febbraio, preferibilmente alle Nazioni Unite, con il segretario generale António Guterres come possibile mediatore (anche se le condizioni poste dall'Ucraina restano molto rigide). È la (flebile) speranza che accompagna questa sanguinosa fine di anno.