"Dobbiamo prepararci a una guerra lunga sull'energia, sul cibo e sul resto", ha detto il presidente francese, Emmanuel Macron, intervenendo alla Conferenza degli ambasciatori di Parigi. "Serve un'azione tesa ad evitare una escalation del conflitto e a preparare la pace, ma anche a evitare la spartizione del mondo come appare attualmente”. Il monito del capo dell’Eliseo arriva nel 190° giorno di combattimenti in Ucraina, tra la difficile ripresa delle scuole nel Paese e quando il riaccendersi degli scontri sembra aumentare di livello e riportare gli equilibri sul campo a una nuova fase, sanguinosa ma non risolutiva.
La controffensiva dell'esercito ucraino nella direzione di Kherson, nel Sud del Paese, sta proseguendo con "battaglie di posizione contro gli occupanti russi" e la "distruzione dei rifornimenti nemici", secondo quanto affermato dal capo del centro stampa di coordinamento delle forze di difesa dell'Ucraina meridionale, Nataliya Humeniuk. "Continuiamo a tenere sotto controllo le vie di trasporto lungo le quali stanno cercando di far arrivare materiali. Continuiamo a colpire i loro posti di comando e i luoghi di concentrazione del personale e delle attrezzature", in modo da "ridurre le forze e le capacità del nemico", ha spiegato Humeniuk. Inoltre, ha aggiunto il Comando Sud dell'esercito, "le forze armate ucraine hanno impedito all’esercito russo di costruire un nuovo pontile vicino a Darivka e hanno anche colpito il ponte Kakhovsky nella regione di Kherson", sempre per bloccare la logistica di Mosca.
Questi bollettini ottimistici di Kiev si scontrano però con una realtà diversa se si alza lo sguardo dal piccolo fronte bellico nei dintorni di Kherson per fare un bilancio più ampio delle forze in campo e delle possibilità che il conflitto si esaurisca per consunzione delle forze che le due parti possono mettere in campo. In questa direzione va una dettagliata analisi condotta dal reporter di punta del “Kyiv Independent”, Illia Ponomarenko, il quale ha calcolato le perdite di mezzi russi a partire dall’invasione del 24 febbraio. Secondo calcoli accurati ma necessariamente non precisi alla singola unità, le forze armate della Federazione hanno visto distrutti o catturati circa 1.300 carri armati e blindati. Si tratta di una cifra record che, con i circa 500 mezzi ucraini messi fuori uso, fanno il più grande scontro di corazzati dalla Seconda guerra mondiale.
Ma se Kiev disponeva prima del conflitto di circa 800 carrarmati (ora rimpinguati dagli aiuti internazionali), Mosca ha una riserva quasi infinita di cingolati e altri veicoli militari. Molti certo sono antiquati e i pezzi di ricambio scarseggiano. Tuttavia, dalle retrovie per ogni mezzo bombardato arriverà uno nuovo a sostituirlo, per mesi e mesi. Ciò significa che la prospettiva di una guerra lunga, di logoramento, conviene più al Cremlino (che pure non ha risorse infinite) che all’Ucraina. E che una controffensiva, sia al Sud sia in altre regioni, dovrebbe essere efficace e rapida, per costringere il nemico a una ritirata che sia costosa soprattutto politicamente.
Il presidente Putin è tornato a parlare della “missione della Russia”, che sarebbe quella di “porre fine alla guerra che Kiev sta conducendo contro il Donbass e proteggere sé stessa”. Dopo il colpo di stato (in Ucraina) nel 2014, i residenti di Donetsk e in gran parte di Lugansk e anche della Crimea si sono rifiutati di riconoscere quello che il nuovo potere ha affermato, è il ragionamento del capo del Cremlino. “È stata avviata una guerra contro di loro che è durata otto anni. Il nostro compito, la missione dei nostri soldati e della milizia del Donbass è fermare questa guerra e proteggere le persone”. In questo modo sembrerebbe che l’obiettivo del conflitto torni limitato al Donbass e che quindi per il resto vi possano essere via di uscita diplomatiche.
Ma sono troppe le variabili in gioco in queste settimane perché la guerra possa prendere presto una piega netta o aprirsi una trattativa concreta. La contabilità degli armamenti lascia poco margine alla controffensiva ucraina se l’appoggio occidentale non sarà massiccio e costante (cosa che per ora sta avvenendo). E la partita su questo punto è tutta politico-economica, legata al nodo del gas e all’orientamento dei governi e delle opinioni pubbliche americana ed europea. Non si può escludere che i risultati elettorali in Italia e negli Stati Uniti alla fine avranno più peso sulla crisi che non i combattimenti di queste settimane.