Sono spaventose le immagini che arrivano da Mariupol, la città meridionale dell'Ucraina assediata e ripetutamente colpita dai bombardamenti russi. A essere pesantemente danneggiato è stato persino l'ospedale pediatrico. Sotto le macerie bambini e donne. Le cifre delle vittime sono da prendere con cautela. Anche gli assediati devono usare l'arma della propaganda per sostenere la propria causa. E le migliaia di civili uccisi, dichiarati dagli amministratori locali, potrebbero essere un dato arrotondato per eccesso. Nessuno però può negare le devastazioni umane e materiali che la guerra sta provocando a due settimane esatte dall'invasione del 24 febbraio.
Alla vigilia dei colloqui in Turchia tra i ministri degli Esteri di Mosca, Lavrov, e di Kiev, Kuleba, la situazione sul campo si fa sempre più complessa. Da una parte, i resistenti sembrano cominciare a soffrire l'assedio. Si parla di una possibile, ulteriore resistenza di della capitale ucraina non superiore alle due settimane. Altre città sono in grave emergenza per la mancanza di acqua, cibo ed elettricità. Dall'altra parte, però, l'avanzata delle forze russe continua a incontrare forti difficoltà e, in ogni caso, sarà quasi impossibile garantire un vero controllo dei centri conquistati, persino nel Sud del Paese, dove la presa sembrava più facile. A questo punto i negoziati potrebbero portare a una tregua se il Cremlino valuterà che le perdite sono troppe alte, le prospettive di un'avanzata risolutiva lontane e la pressione delle sanzioni nel medio periodo troppo forte.
Entra qui in gioco l'enigmatica strategia di Vladimir Putin. Il presidente è di certo determinato a ottenere il massimo successo e, all'apparenza almeno, ben poco turbato dai massacri e persino dalle bare dei suoi soldati che tornano in patria. Si tratta di un prezzo che ha probabilmente messo in conto. L'opinione pubblica interna non è abbastanza informata o comunque non abbastanza forte per costringere a invertire la rotta adottata finora. Non si può nemmeno escludere che il Cremlino possa decidere un'accelerazione militare, che comprenda armi non convenzionali, per piegare più rapidamente il nemico.
Diverso è il discorso sul fronte ucraino. Pare che le timide aperture fatte da Zelensky nelle scorse ore siano state male accolte da una parte dei vertici militari e politici e anche della popolazione. E' tuttavia una constatazione fin troppo ovvia, anche se a volte sottovalutata, che la guerra si combatte integralmente sul territorio ucraino. Ciò significa che si tratta un conflitto asimmetrico, dove le perdite inevitabilmente si assommano su uno dei belligeranti, che sopporta il peso maggiore del conflitto. Di qui si apre lo scenario di concessioni territoriali per mettere fine all'aggressione di Mosca, sul lungo termine insostenibile senza un attivo appoggio militare occidentale. E di questo non si parla, tramontata la possibilità che gli Stati Uniti dessero disco verde al trasferimento di Mig polacchi all'Aviazione di Kiev.
Il ruolo delle ritorsioni economiche e il peso di possibili mediatori o facilitatori terzi, Cina compresa, è l'altro elemento determinante nella crisi. Il flusso di profughi non si arresta - siamo a due milioni di persone in fuga - e la capacità di accoglienza europea sarà presto messa alla prova. Per questo si scommette su una soluzione negoziale da parte dei mercati finanziari, le Borse mercoledì 9 marzo hanno segnato un fortissimo recupero che, ha sottolineato qualcuno, strideva fortemente con le scene di morte e disperazione viste a Mariupol. Un altro segno che la guerra in Ucraina è diventata una partita globale giocata su tanti fronti diversi. Non ultimo quello dell'arte: il museo Ermitage di Leningrado ha chiesto la restituzione immediata di alcune opere prestate a Milano per due mostre attualmente in corso.
La pace diventa sempre di più l'unico antidoto alla ricostruzione di una cortina tra il mondo libero e le democrazie autoritarie.