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Trump e Putin nel 2018 - ANSA
La notizia, posto che davvero porti alle conseguenze che tutti auspichiamo, è dolce-amara. Donald Trump e Vladimir Putin hanno concordato di dare avvio ai negoziati di pace sull’Ucraina per chiudere al più presto la buia pagina di lutti e di orrore che da tre anni – da quando Mosca ha invaso l’Ucraina con il pretesto di un’Operazione Speciale – ha insanguinato l’Europa.
«Ho appena avuto una lunga e altamente produttiva telefonata con il presidente russo Vladimir Putin. Abbiamo discusso di Ucraina, Medio Oriente, energia, intelligenza artificiale, il potere del dollaro e vari altri argomenti»: lo ha scritto Donald Trump annunciando la telefonata avuta con il presidente russo Putin, confermata anche dal portavoce del Cremlino Peskov, che ha parlato di una conversazione durata circa un’ora e mezza.
Dopo centinaia di migliaia di morti, di maldestre offensive e controffensive, di cinici sacrifici di carne da cannone, di giovani mandati a morire per assicurarsi rapinose e transitorie conquiste di fazzoletti di terra, di logoranti guerre di trincea, di vite spezzate e di vite in fuga, di gioventù falciate dalla dissennatezza di una guerra che nessuno dei due contendenti poteva vincere, di miliardi di dollari e di rubli spesi nel foraggiare la più turpe delle filiere commerciali – quella degli armamenti – di sanzioni-boomerang che hanno impoverito tutti senza fiaccare più di tanto il bersaglio delle sanzioni stesse (la Russia), di esodi biblici di popoli in cerca di un luogo sicuro, ecco che i due grandi signori della guerra, i Warlord Trump e Putin finalmente decidono di intendersi. Parleranno di negoziati, di pace, di nuovi assetti. Dietro i quali si nasconde – ma neppure tanto – il bottino che entrambi già intravedono: terre nuove per la Santa Madre Russia (Donetsk, Lukansk, Mariupol), terre rare – intese come i preziosi gioielli della tecnologia futura, litio, berillio, lantanio, cerio, neodimio e idrocarburi per Washington: 500 miliardi di controvalore, quanto basta per pareggiare i conti e far fruttare quei 174 miliardi di dollari finora spesi dall’America per sostenere Kiev.
Do ut des, secondo la logica mercantilistica di Trump. Do ut des, secondo il neo-imperialismo putiniano, che in cambio della pace proseguirà quel land grabbing (accaparramento di terre) iniziato con l’Anschluss della Crimea del 2014 e prima ancora con la Georgia nel 2008. Ma se accordo di pace verrà, se tacerà il cannone, il grido del Papa – un grido antico, che già s’innalzava all’alba dell’invasione – non sarà stato vano.
Dolce-amara, dunque, la telefonata tra Putin e Trump. L’amarezza, non occorre dirlo, alberga nella totale assenza dell’Europa, nella sua documentata irrilevanza, nella plateale esclusione – la stessa riservata per ora a Volodymyr Zelensky – dalle trattative di pace. Come brutalmente (ma in questo, nella totale assenza di fair play diplomatico Putin e The Donald si somigliano e s’intendono alla perfezione) ha osservato non più tardi di due giorni fa lo stesso zar in un’intervista alla tv di Stato: «Trump ripristinerà rapidamente l’ordine fra le élite europee, e queste rapidamente si metteranno ai piedi del padrone e scodinzoleranno dolcemente».
Forse non sarà così: Francia, Spagna e Germania subito avvertono: «Non ci sarà alcun accordo senza il coinvolgimento di Kiev e dei suoi partner europei». Ma qualcuno già chiama opportunamente “crepuscolo transatlantico” questo cruciale cambio di passo nelle relazioni fra le due sponde dell’oceano. L’importante è che l’Europa se ne renda conto, che il sonno dogmatico nel quale era assopita fino ieri si trasformi nella consapevolezza che occorrono visioni e modalità nuove per dialogare con l’amico americano. Sempre che sia ancora un amico.