mercoledì 12 febbraio 2025
Un’ora e mezza di chiamata ha aperto la strada a una “tregua” vicina. I due leader si vedranno «presto» di persona. Il capo di Stato ucraino informato soltanto a cose fatte
Trump e Putin in una foto d'archivio

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Manca solo la data. Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, incontrerà il numero uno del Cremlino Vladimir Putin. Di persona. La svolta è arrivata nel corso di una telefonata che si è conclusa dopo 90 minuti con l’avvio «immediato» delle negoziazioni sulla guerra in Ucraina. La partita sul futuro di Kiev, questo è quello che lasciano intendere le dichiarazioni del tycoon, si giocherà tra Washington e Mosca. Senza l’Unione Europea.

Da dove si comincia, dunque, a fare la pace? L’inquilino della Casa Bianca ha chiarito in un post rilanciato sul suo social network: «Iniziamo immediatamente a far dialogare i nostri rispettivi team – ha scritto su Truth – inoltre sentiremo il presidente Zelensky per informarlo della conversazione». Anzi, ha insistito, «lo sentirò proprio adesso». Detto, fatto: la telefonata tra Washington e Kiev è durata quasi un’ora. «Sono grato al presidente per il suo interesse e per quello che possiamo realizzare insieme», ha commentato lapidario il leader ucraino, dopo aver ribadito la determinazione ad arrivare a una pace «duratura e affidabile». E malcelando il fatto di essere in seconda fila nel negoziato.

Il tono dell’annuncio di Trump, piombato a pochi giorni dal terzo anniversario del conflitto, tradisce una certa complicità con il presidente russo: «Putin ha persino usato il mio motto, “buon senso”. Entrambi ci crediamo fermamente. Entrambi vogliamo fermare i milioni di morti che la guerra sta mietendo», ha sottolineato il tycoon a cui piace darsi del «pacificatore». «Abbiamo concordato di lavorare insieme, molto strettamente, incluso – questa è la sorpresa – visitare le rispettive nazioni». Trump a Mosca e Putin, su cui pende un mandato di arresto internazionale, a Washington? Si vedrà. Di certo c’è che le due parti, confrontatesi anche sulla crisi in Medio Oriente, fanno sul serio. Il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, è intervenuto a confermare il confronto tra i due leader e a precisare, ancora, che «è stato il presidente Putin a invitare Trump in Russia».

A far pensare che l’atteso colloquio fosse davvero prossimo è stato lo scambio di prigionieri degli ultimi due giorni. Martedì, Putin ha rilasciato un insegnante di storia americano, Marc Fogel, detenuto a Mosca dal 2021 per possesso di piccole dosi di marijuana. Ieri, Washington ha liberato Alexander Vinnik, un cyber criminale russo dichiaratosi colpevole di riciclaggio di denaro in carcere, in California, dal 2017. Sarebbe imminente anche la consegna a Washington di tre americani reclusi nelle carceri di Minsk, in Bielorussia, lo Stato alleato dello “zar Putin”. Tump, da parte sua, ha pure ufficializzato la squadra che dovrà seguire i negoziati in questa prima, delicata fase: in prima linea, il segretario di Stato Marco Rubio, il direttore della Cia John Ratcliffe e il Consigliere per la sicurezza nazionale Michael Waltz. Chiave sarà anche il ruolo dell’inviato speciale per il Medio Oriente, Steve Witkoff, l’esecutore della trattativa segreto che ha portato alla liberazione di Fogel. Lui è stato il primo alto funzionario statunitense a toccare suolo russo, con il suo jet privato, negli ultimi tre anni. Mentre la diplomazia faceva il suo corso, va ricordato, il Segretario al Tesoro dell’amministrazione trumpiana, Scott Bessent, era a Kiev a mettere a punto un’intesa sulla sicurezza, sulla cooperazione economica e, questo è dettaglio molto caro al tycoon, sulla fornitura agli Stati Uniti di tonnellate di terre rare ucraine, i minerali essenziali alla produzione di componenti tecnologiche.

Tappa fondamentale della via verso la pace sarà, venerdì, l’incontro a Monaco, alla Conferenza sulla sicurezza, tra il vice presidente Usa, JD Vance, e Zelensky. Trump ha lasciato intendere ieri che il faccia a faccia in quella sede potrebbe essere utile a spianare la strada verso una «veloce pace». I paletti posti dagli Usa a Kiev, intanto, sono già chiari. Li ha piantati, ieri, il numero uno del Pentagono, Pete Hegseth, che, intervenendo alla Nato a Buxelles, ha fugato ogni dubbio: «Il ritorno ai confini dell’Ucraina precedenti al 2014 è irrealistico», ha tuonato con tono inequivocabile, tantomeno la sua adesione all’alleanza militare dell’Occidente. Da Parigi, intanto, è arrivato il monito dell’Ue. «Non ci potrà essere alcuna pace giusta e duratura in Ucraina – ha chiarito una nota dei ministri degli Esteri di Francia, Germania e Spagna – senza gli europei». Sull’assenza dell’Ue, la Casa Bianca ha glissato: «La squadra messa in campo è molto forte, lo stesso presidente è molto coinvolto in questo sforzo». Come a dire: per il momento, di Bruxelles non ce n’è bisogno.

In serata, il presidente Usa Trump ha annunciato un cessate il fuoco in Ucraina in un «futuro non troppo distante». Aggiungendo: «Prima o dopo saranno necessarie elezioni» in Ucraina, la cui adesione alla Nato «non sarebbe realistica», per il leader americano.

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