Caro direttore,
è difficile non convenire su due punti. Il primo è l’auspicio, espresso anche ai vertici della Chiesa – Papa, Cei, singoli vescovi –, di uno 'scatto' nel protagonismo dei cattolici nell’arena pubblica non esclusa quella politica. Così pure non si può che sottoscrivere la constatazione secondo la quale i cattolici italiani vantano una preziosa tradizione di pensiero e di azione politica. Non solo di princìpi e di valori, ma anche, più concretamente, di conquiste preziose per la polis. Si pensi solo alla Costituzione e al progetto europeo, non a caso menzionati dall’arcivescovo di Milano Mario Delpini nel suo recente discorso alla città per la solennità di sant’Ambrogio.
Ma, se vogliamo fare un passo in avanti nella riflessione e nel confronto, oltre l’evidenza sulla quale è facile convenire, dobbiamo mettere a tema questioni controverse, magari scomode, che non possiamo esorcizzare. Ne accenno tre, che mi limito a menzionare, senza dire la mia.
La prima: il problema non è nuovo, su di esso ci si interroga da sempre (quantomeno da Sturzo, e poi dalla revoca del Non expedit), ma ci si deve chiedere perché oggi esso si ripropone in termini più acuti e stringenti. Perché oggi più di ieri sembra che la politica e la società vadano in una direzione che fa problema alla coscienza cristiana? Sotto quali concreti profili (non sono sicuro che nel dare nomi precisi a essi si sia tutti d’accordo)? Quesiti che rinviano a un problema a monte: pur concedendo che oggi i cattolici scontino un deficit di rilevanza politica, dovremmo convenire su un bilancio non troppo sbrigativo del contributo politico dei cattolici, nella Prima Repubblica (spesso mitizzata) e nella Seconda, di norma bollata negativamente o comunque decontestualizzata, quasi si potesse prescindere da importanti elementi di sfondo: l’eclisse di un dominante humus cristiano, il deperimento dell’associazionismo cattolico storico vivaio di vocazioni politiche, lo sfilacciamento del tessuto sociale e comunitario.
La seconda: secondo recenti analisi statistiche, la maggioranza degli elettori cattolici italiani sarebbe orientata a votare Lega. A seguire i 5 stelle. So bene che la nozione di 'cattolici' non è univoca e che chi opera tali rilevazioni è costretto ad adottare un parametro approssimativo come quello – chiedo scusa – dei 'messalizzanti abituali'. Ma, pur scontando tale approssimazione, resta l’interrogativo: è normale che gli elettori cattolici si distribuiscano politicamente più o meno come tutti gli altri elettori? È cosa buona o fa problema? Ferma restando l’acquisizione comunque non reversibile del pluralismo delle opzioni politiche tra i cattolici, quali, in concreto, oggi, i limiti di esso, quale l’unum necessarium? Anche qui temo vi siano tra noi opinioni diverse.
La terza verte sugli strumenti politici. Essi devono fare i conti con le coordinate politiche concrete, tipo la legge elettorale e gli attori in campo. Esemplifico: la legge a base proporzionale potrebbe incoraggiare l’idea di una nuova formazione politica di ispirazione cattolica altra e distinta dai soggetti già in campo (una suggestione che mi pare si riaffacci), ma essa – pena risolversi in una operazione nostalgica e velleitaria – andrebbe subordinata al vaglio di altre concrete considerazioni quali: il suo effettivo spazio elettorale (anche alla luce del dato su accennato), la sua omogeneità culturale-politico-programmatica, la previa verifica che, ai fini di un beninteso protagonismo dei cattolici, sia meno efficace la soluzione di agire 'a modo di fermento' dentro i partiti già in campo.
Dovrebbe essere superfluo notare che, su tutta la problematica – ripeto, annosa – incombe la madre di tutte le questioni e cioè che nessuna soluzione politica 'a valle', anche la più geniale e la più efficace, può venire a capo di quella pregiudiziale e cruciale 'a monte': non può essere la politica a «fare cristiani gli uomini e la società». Di più: la desertificazione etica, sociale e religiosa (esagero?) è un dato che condiziona la stessa scelta circa gli strumenti politici più appropriati. Invertire l’ordine delle priorità conduce fuori strada, nei giudizi e nelle azioni.
già deputato del Pd