Transizione: un passo avanti
mercoledì 30 novembre 2022

C’è una classifica nella quale l’Italia è probabilmente prima al mondo. È quella importantissima della forza del “civile”, dei corpi intermedi, dell’incarnazione del principio di sussidiarietà che ha una tradizione storica ricchissima a partire dallo sviluppo del movimento cooperativo di consumo e del credito e che oggi fiorisce in nuove forme organizzative che rafforzano la nostra “biodiversità” economica e sociale come le cooperative sociali, le fondazioni di comunità e molto altro.

È anche per questo motivo che, dalla Settimana Sociale dei cattolici di Taranto (2021) in poi, la società civile e in essa le diocesi e le comunità locali si sono impegnate in una diffusa progettualità sul tema delle comunità energetiche rinnovabili. L’idea di comunità trova terreno fertile per svilupparsi quando esistono occasioni concrete di risposta a emergenze e bisogni. L’aggressione russa all’Ucraina, l’ulteriore esplosione dei prezzi delle fonti fossili, il caro bollette e l’impennarsi dell’inflazione non avrebbero messo così tanto in difficoltà famiglie e imprese, aumentando la povertà nel Paese, se fossimo stati più avanti nella transizione ecologica seguendo la linea tracciata da pionieri come i nostri primi fondi d’investimento etici (per esempio, 22 anni fa, quelli di Etica Sgr, sono nati con la scelta di non investire nelle fonti fossili) e l’invito della Laudato si’ nella stessa direzione arrivato nel 2013.

La pubblicazione da parte del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica della bozza della regolamentazione degli incentivi sulle comunità energetiche da parte del nuovo governo con un rapido periodo di consultazione delle parti sociali che si chiuderà il 12 dicembre va salutata con sollievo perché pone fine a un ritardo di mesi e crea le condizioni per mettere in moto le energie della società civile e attivare progetti già da tempo pronti sui territori. L’iniziativa italiana si inserisce in un quadro comunitario molto chiaro. L’obiettivo Ue è che nel 2050 il 16% dell’energia elettrica provenga da iniziative comunitarie come le comunità energetiche. E negli altri Paesi europei sono da tempo sul campo realtà importanti, piccole e grandi che arrivano fino alle dimensioni della belga Ecopower che mette assieme quasi 50mila soci.

Le proposte del governo sono, dunque, importanti e incoraggianti per lo sviluppo futuro delle comunità energetiche. Resta invariato l’incentivo per l’autoconsumo che è una delle tre fonti di redditività dell’iniziativa (assieme al risparmio nell’acquisto da terzi dell’energia autoprodotta e alla vendita del surplus
prodotto e non autoconsumato sul mercato). Si aggiunge un piccolo premio per gli impianti nel Nord del Paese che tiene conto della loro minore resa in termini di livelli d’insolazione. Ci sono alcuni piccoli punti da considerare con attenzione come il richiamo vago ai principi del Do Not Significant Harm (cioè del sostenere soltanto progetti che in nessun modo rechino danno all’ambiente) e il rischio di non agevolare progetti già avviati da qualche tempo e non coperti per il ritardo nell’uscita dei decreti attuativi.

Il rapporto Symbola-Ipsos che sarà presentato a Mantova venerdì 2 dicembre (e anticipato da “Avvenire” domenica scorsa) dimostra che tutto questo sta avvenendo in un momento assolutamente propizio. Il 68% delle diocesi ha portato avanti almeno un’iniziativa relativa alle comunità energetiche. Il 40% delle imprese intervistate sta ponendo in atto strategie di transizione energetica mentre il 63% indica che esse sono assolutamente urgenti perché per il 40% di esse il caro energia ha aumentato il costo dei prodotti finali. Per il 70% di queste imprese le comunità energetiche possono dare un contributo importante a tale strategia e si mostrano pronte a creare sinergie con cittadini, amministrazioni e parrocchie.

Il passo avanti sulle comunità energetiche (e sperabilmente l’eliminazione progressiva del collo di bottiglia sulle autorizzazioni dei grandi impianti) sono decisive per raggiungere obiettivi chiave come il contrasto al cambiamento climatico, la riduzione dei costi dell’energia per famiglie e imprese, la sovranità e indipendenza energetica e una nuova via di rafforzamento del pilastro del “civile” la cui importanza abbiamo sottolineato. Da non dimenticare infine come le comunità energetiche siano anche uno strumento di pace. La storia dell’umanità è piena di guerre fatte per il controllo del potere sulle fonti di energia. Viaggiamo oggi verso un mondo diverso fatto di produzione di rete, diffusa e partecipata dove il tetto di un palazzo comunale o di una chiesa parrocchiale non può certo rappresentare per nessuno (neppure per i più bellicisti) un obiettivo per cui combattere guerre e sacrificare vite umane.

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