Si antepongono sempre più i valori della sfera individuale a quelli della «polis», percepiti come accessori
Nel lungo periodo, secondo i sociologi della tarda modernità, si è assistito a un progressivo allentamento della normatività esterna agli individui in favore di un’accresciuta centralità degli ideali di autorealizzazione. Questo spostamento della normatività dai valori riferiti al Noi a quelli riferiti al Sé, se da un lato ha comportato una crescita della libertà nella responsabilità degli individui, dall’altro li ha esposti maggiormente ai rischi di isolamento, fallimento e disgregazione dei legami sociali. L’indebolimento delle fonti tradizionali di legittimazione dei valori e delle norme – in primis la religione e le ideologie politiche – e la crescente esposizione a sistemi di valori eterogenei propri delle società multiculturali, ha portato sempre di più gli individui a elaborare le proprie condotte cercando riflessivamente una mediazione tra premure personali e opportunità contingenti piuttosto che applicando schemi prefissati riferiti a valori condivisi. Questo modus operandi aumenta l’incoerenza tra valori dichiarati e comportamenti agiti e conseguentemente anche la difficoltà di interpretazione delle condotte sociali. Negli ultimi decenni il crescente senso di insicurezza dovuto alla percezione dei rischi globali (cambiamenti climatici indotti dall’uomo, terrorismo, incertezza economica, migrazioni incontrollate) ha portato i soggetti a cedere parti crescenti della propria autonomia e indipendenza a nuovi sistemi di sorveglianza generalizzata, sistemi che per il loro carattere opaco e impersonale non sembrano ridurre l’incertezza e contribuiscono semmai ad alimentare la domanda di norme più restrittive e severe.
Sullo sfondo si rileva una crescente sfiducia delle nuove generazioni nei confronti delle istituzioni – in particolar modo quelle politiche – e un crescente investimento nei confronti di quell’area della 'socialità ristretta' costituita dai rapporti familiari e dalle reti amicali. Quest’ultimo trend trova conferma anche nelle precedenti edizioni del Rapporto Giovani. Per altro verso anche recenti indagini sulla cultura della legalità tra gli adolescenti italiani pongono in luce la debolezza degli attuali agenti mediatori, uno scarso senso civico e il rischio di slittamento per una minoranza consistente di essi verso modelli culturali e comportamentali illegali. Se è vero che i valori dei giovani sono più improntati all’apertura al cambiamento che alla conservazione, si tratta di capire verso quale direzione tali cambiamenti siano oggi orientati, in una fase storica connotata da una forte tensione tra e nelle istituzioni democratiche, caratterizzata da intense contrapposizioni tra modelli e pratiche di convivenza e di cittadinanza, dove istanze libertarie coesistono con richieste securitarie e nuove spinte autoritarie.
Se volgiamo l’attenzione alle fonti normative di legittimazione della civility, ossia del senso di rispetto per gli altri e per l’ambiente, ci sono pochi dubbi sul fatto che la fonte principale tra i giovani sia considerata la famiglia (indicata dal 49,8%). Tra gli altri ambiti di socializzazione alla convivenza seguono a notevole distanza la scuola (19,1%), il luogo di lavoro (17,7%) e in ultimo le amicizie (13,4%). I dati di ricerca confermano la centralità della famiglia sia come valore in sé e soggetto di diritto, sia come luogo privilegiato di formazione del senso civico. È pur vero che questa ampia investitura da parte dei giovani avviene in un contesto di debolezza, scarsa legittimazione e sfiducia nei confronti dei soggetti tradizionalmente deputati alla formazione del senso civico: partiti, media generalisti, istituzioni politiche, forme di cittadinanza attiva, e in parte anche la scuola. Appare legittimo, pertanto, chiedersi se l’ancoraggio convinto ai valori familiari possa effettivamente alimentare un atteggiamento di apertura democratica, solidarietà sociale e rispetto delle regole di convivenza civile o se non sottenda piuttosto l’assunzione di interessi particolaristici e logiche opportunistiche, alimentando la spirale di denormativizzazione della società. Combinando due diversi item – uno riferito all’importanza attribuita al valore del diritto di famiglia, l’altro agli ambiti sociali di maggiore stimolo per la formazione del senso civico – è stata creata una tipologia degli orientamenti valoriali familiari composta da quattro modalità o tipi:
1) la famiglia come «valore marginale» rispetto alla cultura civica e alla legalità, che comprende coloro che considerano per niente, poco o abbastanza importante il valore del diritto di famiglia e che non indicano la famiglia come ambito principale di promozione del senso civico (21,6% del campione);
2) la famiglia come «valore per la società», che comprende coloro che considerano per niente, poco o abbastanza importante il valore del diritto di famiglia e che indicano la famiglia come ambito principale di promozione del senso civico (16,5%);
3) la famiglia come «valore in sé» o soggetto di diritto, che comprende coloro che considerano molto importante il valore del diritto di famiglia e che non indicano la famiglia come fonte principale di civicness (28,6%);
4) la famiglia come «valore integrale», che comprende coloro che considerano molto importante il valore del diritto di famiglia e al tempo stesso ritengono che essa sia anche la fonte principale di civicness (33,3%).
In ultima analisi nei giovani intervistati l’assunzione di una visione più positiva delle leggi sembra essere maggiormente associata a un orientamento valoriale che vede la famiglia come un soggetto di diritto e un valore in sé. L’adozione di un quadro di riferimento di comportamenti pratici maggiormente conforme alle leggi è favorita da una visione integrale che combina il valore della famiglia con il riconoscimento del suo primato nella formazione del senso civico, anziché dall’approccio opposto, che contrappone interessi e premure propri della sfera familiare ai valori e agli orientamenti più generali della società civile.
Gli intervistati esprimono una convinta adesione ai valori propri della democrazia e dello stato di diritto, secondo una scansione oramai consolidata che vede anteporre i valori della sfera individuale a quelli più propriamente riferiti all’ambito della polis (democrazia e rispetto delle leggi), ai valori solidaristici e di impegno sociale, percepiti maggiormente come «accessori» rispetto ai precedenti. In senso astratto la maggioranza dei giovani condivide una visione alta delle leggi come strumenti di regolazione sociale, che garantiscono la tutela delle libertà individua-li, in cui anche la punizione assume una valenza perlopiù positiva. Tuttavia, circa un terzo del campione esprime una visione critica delle leggi, le considera uno strumento di oppressione della libertà individuale e di tutela delle élite e non riconosce alle leggi un’autorità superiore a quella della propria soggettività. Più concretamente si conferma una certa labilità delle conoscenze e dunque della percezione dei confini tra ciò che è legale e non lo è, spesso confuso con ciò che è moralmente lecito per la collettività o per i giovani stessi. Preoccupante è la percezione che i giovani hanno dell’alto grado di illegalità diffusa nella società italiana. Questa percezione, sebbene enfatizzata nei toni, affonda le radici in un problema culturale e sociale reale del nostro Paese che disincentiva lo sviluppo di una cultura civica fondata sul rispetto condiviso delle regole, sottrae forza di persuasione alle norme, legittima l’assunzione di condotte non-convenzionali e devianti. Nonostante 1 giovane su 3 provi un senso di impotenza di fronte alla perdurante cultura dell’illegalità, la grande maggioranza (quasi 9 su 10) non perde completamente la speranza e pensa che si debba fare di più per cambiare le cose. Il senso di urgenza traspare anche dal modo in cui i giovani accolgono massicciamente e con pochi distinguo tutte le proposte di contrasto del-l’illegalità: dall’investimento nell’educazione, alla certezza della pena, dall’aumento della vigilanza, all’inasprimento delle pene, alla rieducazione nelle carceri.
docente di Sociologia della famiglia e dell’infanzia, membro del Laboratorio ricerca e intervento sociale Università Cattolica, sede di Brescia