Lo sfregio alla targa dedicata all'eroe di Rigoni Stern
martedì 7 maggio 2019

Lo sfregio alla targa dedicata all'eroe di Rigoni Stern Hanno cacciato Tönle dalla sua montagna una seconda volta, come a dirgli: non c’è posto per te, perché non c’è posto per un amore per la propria terra che sia mite e buono, accogliente e fecondo; perché la tua pretesa che l’unica 'supremazia' sensata sia quella del cielo su di noi, l’erba sotto di noi e boschi e pascoli e buona terra da coltivare tutt’attorno è una provocazione inaccettabile; perché i buoni romanzi ingentiliscono gli animi e invece dobbiamo essere coriacei e ghignanti.

E allora via di qua, Tönle. Che cosa pensavi di fare, tornando? Il montanaro di cui Mario Rigoni Stern nel 1978 aveva raccontato la storia nel romanzo Storia di Tönle, è stato sfregiato e cancellato dalla targa di bronzo in cima al Monte Katz, noto anche come Monte Bi, lassù sull’Altopiano di Asiago. Sono una ventina le tabelle, con incisi brani dei suoi romanzi, poste sui luoghi amati da Rigoni Stern, alcuni di facile accesso, altri assai meno. Una mano selvaggia ha scheggiato, fino a renderla illeggibile, quella posta sulla collina tondeggiante a nord dell’aeroporto, con ai piedi le contrade Rodeghieri, Costa, Rigoni di Sopra e Maddarello. I borghi cari a Mario e la collina che poteva contemplare dalla sua casa in Val Giardini, mentre scriveva. «Era un ubriaco? Era consapevole? Di sicuro era un imbecille», ha commentato Chiara Stefani, assessore a cultura e turismo di Asiago. La targa verrà rifatta e rimessa al suo posto, ma non è questo il punto.

Ubriaco, consapevole, imbecille... Forse era tutt’e tre le cose assieme: un imbecille convinto di essere un genio come capita a tutti gli imbecilli, forse ubriaco, ma deciso a voler distruggere un simbolo della comunità perché chi è imbecille non è capace di gesti creativi e costruttivi e trova il suo piacere nel distruggere, colpire, demolire, far male. Suvvia, diranno i soliti: è un gesto isolato, non fatela tanto lunga. Invece no. Salire in cima al monte per colpire Tönle, protagonista di quello che Rigoni Stern giudicava «la mia opera più bella», è di per sé un atto simbolico che definisce il nostro tempo. Tönle Bintarn vive tra Otto e Novecento. Abita proprio sul confine tra Italia e Impero Austroungarico.

Colto a fare del contrabbando, condannato, scappa e vaga per il mondo. Quando può tornare è un vecchio e precipita nell’inferno della guerra. Catturato dagli austriaci con l’accusa di essere una spia, liberato, riesce a tornare sul suo Altopiano, solo per morire abbracciando i suoi alberi e la sua erba. Nel suo girovagare non si sente straniero. Ogni montagna è la sua montagna: «Siamo tutti compaesani», dice. Tutti «compagni» - come amava ricordare Rigoni Stern - ossia coloro che mangiano lo stesso pane, il cibo che accomuna. Vogliono portarci via ciò in cui credevano Mario e Tönle: l’amore sano per la propria terra, un amore che coltiva, protegge e costruisce, accoglie e cresce.

Un amore che è tutto il contrario della passione furente che separa e beffeggia, per avere un’identità deve affermarne la superiorità sulle altre e specchiarsi nel proprio ghigno e per provare piacere deve colpire e irridere. Quando la guerra pugnala i suoi boschi, Tönle avverte le ferite su di sé, ma non riesce a odiare, l’odio è un sentimento ignoto. «Siamo tutti compaesani »: apparteniamo a una superiore patria comune in virtù non del sangue, della lingua o della storia, ma dell’appartenenza all’umanità, all’avere lo stesso cielo sopra di noi e la stessa erba e buona terra sotto, e i boschi tutt’attorno. Il fuggiasco Tönle, l’ultima notte del XIX secolo, per partecipare alla festa dei suoi compaesani sale sul Monte Katz e accende un grande falò, il fuoco dell’amicizia, della festa e della speranza. L’imbecille ha gettato una secchiata d’acqua gelida su quel falò. Ha fatto del male a Tönle e a Rigoni Stern; molto di più, ha fatto del male a tutti noi.

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