Lo scandalo del male ha da sempre inquietato le coscienze. E in questo 2022, così segnato dai venti di guerra che spirano dall’Europa Orientale, ma anche dalle grida strazianti e inascoltate che si levano dalle tante periferie del mondo, la sofferenza degli ultimi è l’aspetto più lacerante. Se l’odierna, scriteriata ed egoistica ricerca del profitto a tutti i costi, colpevole della mercificazione della condizione umana su scala planetaria, lasciasse il passo all’annuncio e alla testimonianza del Vangelo, potremmo davvero tutti vivere in pace. Eppure, in questo contesto esistenziale che ci appartiene, dove la corsa agli armamenti è tale per cui la minaccia di un conflitto nucleare è sempre in agguato, è bene comunque ricordarsi di quegli uomini e di quelle donne che hanno fatto una scelta di segno contrario, facendosi con la loro vita «Voce del Verbo».
È questo lo slogan della trentesima Giornata di preghiera e digiuno in memoria dei missionari martiri, promossa da Missio, organismo pastorale della Conferenza episcopale italiana che si celebra oggi. Si tratta di un’iniziativa che cade ogni anno nel giorno in cui venne ucciso l’arcivescovo salvadoregno san Óscar Arnulfo Romero, mentre celebrava l’Eucaristia. La memoria dei missionari e missionarie martiri, vere e proprie sentinelle del mattino, prende ispirazione da quel tragico evento, non solo per ricordare il sacrificio di quanti lungo i secoli hanno immolato la propria vita proclamando la Buona Notizia, ma anche per affermare la consapevolezza che la missione, in quanto donazione, è sempre comunque espressione dell’amore misericordioso di Dio.
Per dirla con le mistiche parole di Paul Claudel «Cristo non è venuto a spiegare il dolore, ma a riempirlo della sua presenza». Ecco che allora la santità di queste eccellenze missionarie resta viva ed efficace nella capacità di estendere nel tempo e nello spazio, attraverso la sequela, il loro carisma a servizio di coloro che vivono nei bassifondi della Storia, di coloro che sono vittime delle diseguaglianze nelle periferie geografiche ed esistenziali del nostro povero mondo. D’altronde, i volti di questi martiri hanno sempre resa manifesta una fragilità e una serenità disarmante, senza però lasciar trasparire i segni della fatica, bensì della volontà di governarla, come accade a un atleta cui vengono meno le forze, ma non al punto di costringerlo a desistere. Emblematico è l’esempio dell’«apostolo dei gentili», Paolo di Tarso, quando sentì approssimarsi il declino del suo vigore: « Bonum certamen certavi, cursum consummavi, fidem servavi » (ho gareggiato in una bella gara, ho terminato la corsa, ho conservato la fede) (2 Timoteo 4,7). Secondo i dati raccolti dall’agenzia Fides, nell’anno 2021 sono stati uccisi a livello planetario 22 missionari: 13 sacerdoti, 1 religioso, 2 religiose, 6 laici caduti sul campo di missione, mentre svolgevano il proprio ministero.
Da rilevare che dal 2000 al 2020, sono stati uccisi complessivamente nel mondo 536 missionari. Missio usa il termine «martiri» nel suo significato etimologico di «testimoni». La scelta è dettata dal non voler entrare «in merito al giudizio che la Chiesa potrà eventualmente dare su alcuni di loro, e anche per la scarsità di notizie che si riescono a raccogliere sulla loro vita e sulle circostanze della morte». Ma se da una parte è vero che in base agli elementi raccolti dall’autorevole agenzia d’informazione missionaria Fides si evince che la maggior parte delle uccisioni è dovuta a tentativi di rapina o furto, a volte anche con efferatezza e ferocia, dall’altra non v’è dubbio che siamo davvero di fronte a uomini e donne che hanno condiviso, fino in fondo, ciò che avviene, quotidianamente, nei tanti Sud del mondo. Una cosa è certa: dietro queste morti c’è sempre e comunque il valore aggiunto del coraggio di osare, con generosità, la testimonianza cristiana.
Le denunce di Romero contro la violenza e la sua opzione preferenziale per i poveri e con i poveri, fecero di lui un missionario scomodo, appunto un martire. Ai poveri aveva promesso: «Se verrò ucciso, risorgerò nel mio popolo». Una risurrezione che afferma l’agognato cambiamento verso cui noi tutti confidiamo.