Tentazione Mugabe
domenica 9 settembre 2018

Se in Italia le cose non vanno, la colpa è sempre di qualcun altro. L’euro, l’Europa, i migranti irregolari, il complotto dei poteri forti, le pochissime mani che controllano i mercati finanziari... Si lascia credere che la "torta" della ricchezza sia data e fissa e che c’è qualcuno (un altro, appunto) che ci impedisce di accedervi e di redistribuirla a vantaggio dei più bisognosi. Qualcosa di simile lo pensavano, e lo fecero pensare il padre-padrone dello Zimbabwe, Mugabe, e i suoi seguaci quando vararono nel loro Paese un programma di redistribuzione delle terre e delle aziende agricole. Purtroppo nel precipitoso processo di redistribuzione i nuovi proprietari non possedevano le competenze dei vecchi e il Paese iniziò una lunga e disastrosa discesa verso il basso, con il paradosso di aumentare la povertà.

In un’altra visione semplicistica, pericolosamente di moda, per allargare la "torta" basta entrare nella stanza dei bottoni, che è quella dove si stampa moneta, per stamparne di più e redistribuirla a tutti. Le storie recenti di Venezuela, Argentina e Turchia ci ricordano che le cose non sono così semplici. La moneta ha valore (e non diventa paccottiglia o carta straccia) se il Paese è produttivo e in equilibrio finanziario. Altrimenti quella moneta non ha nessun valore non solo per i "cattivi" investitori esteri, ma anche per i risparmiatori nazionali che faranno di tutto per liberarsene e far fuggire i propri (piccoli o grandi) capitali oltre frontiera.
La verità, più faticosa da accettare, è che la torta della ricchezza economica di un Paese non è una rendita, ma la somma delle competenze, dei saperi e della produttività dei suoi cittadini. L’Italia prova ad uscire da anni di difficoltà, la classe media è scivolata verso il basso, perdendo sicurezze e fiducia nel futuro. La fotografia del nuovo Paese ce la offrono le città di fine estate. Un tempo semivuote ovunque. Oggi abbastanza vuote nei quartieri più ricchi e piene di persone e di macchine in tutti gli altri. La colpa è molto meno di quanto si pensi di chi ha governato gli anni della crisi, perché difendere qualità e dignità del lavoro dei meno specializzati nel nuovo scenario della concorrenza globale e della rivoluzione della robotica è molto difficile.

Quando il medico dice a un paziente gravemente malato che la cura esiste, ma è lenta e difficile e bisogna avere pazienza, succede fin troppo spesso che i parenti, presi dallo sconforto e dalla disperazione per una guarigione che tarda ad arrivare, si rivolgono a guaritori improvvisati e ciarlatani.

Il compito più difficile, oggi, non è capire quale sia il problema del Paese, ma farlo capire agli elettori. Si parla, ad esempio, diffusamente della 'battaglia' per chiedere all'Europa fondi per nuovi investimenti quando ci sono 150 miliardi già stanziati bloccati per ritardi procedurali e alcune nostre Regioni spendono meno del 5% dei fondi strutturali. La verità del nostro Paese è un’altra, ma forse è noiosa, poco attraente dal punto di vista della comunicazione e non scalda i cuori. I grandi mali d’Italia sono le lentezze burocratiche, i tempi della giustizia civile, la corruzione, l’evasione e l’elusione fiscale. Qualunque amministratore locale o nazionale, dall'assessore al ministro confida sempre la stessa cosa. La macchina è ingolfata perché la qualità della pubblica amministrazione è molto peggiorata e laddove non ci sono funzionari validi le difficoltà si fanno enormi.

In un Paese dove il primo degli esclusi in qualunque gara o concorso fa ricorso quasi d’ufficio, e dove le cause civili in tre gradi di giudizio durano quattro volte di più che in Germania, i dirigenti pubblici esitano a prendere decisioni e talvolta lo fanno solo su richiesta del giudice, in un paradossale testa coda tra amministrazione e potere giudiziario. Il ministro dell’Economia e delle Finanze Tria ha in animo di dedicare energie al potenziamento delle competenze dell’amministrazione pubblica e di lavorare, investimento per investimento, per capire dove le cose rallentano o si bloccano. Tutti i politici di buon senso sanno che bisogna curare questi grandi mali se si vuole risollevare l’Italia. Ma finché quote importanti di elettorato si faranno incantare da complottismi e promesse di bacchette magiche i politici seri (ce ne sono e potranno essercene di più) non otterranno il consenso per farlo. È una missione che passa necessariamente per il cambiamento della 'narrativa' nel Paese, un impegno culturale prima che politico, difficile ma affascinante. E che ci vede tutti convocati.

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