venerdì 7 settembre 2012
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Caro direttore,
sono la mamma di uno studente liceale promosso in quinto Liceo Scientifico, dopo un anno di studio negli Stati Uniti. In realtà, per la riammissione al quinto anno la scuola di mio figlio ha richiesto esami scritti in matematica e storia dell’arte e un esame orale in tutte le altre materie, con programmi solo leggermente "sfoltiti" rispetto a quelli svolti. Il tempo a disposizione è stato di poco più di due mesi – in pratica luglio e agosto appena trascorsi – provenendo mio figlio da un anno scolastico che negli Stati Uniti è iniziato a fine agosto 2011 ed è finito alla metà di giugno. Mio figlio ha personalmente organizzato questa sua esperienza di studio all’estero e il suo liceo lo ha lasciato partire. Negli Stati Uniti ha fatto un piano di studio corposo riportando l’eccellenza per la scuola americana ("High Honours").
Al rientro in Italia, la scuola ci ha comunicato con chiarezza che non intendeva prendere per buoni i voti (100/100 in matematica, chimica e fisica) riportati negli Usa. Ci siamo, allora, informati sui licei romani che intendono riconoscere come definitivi i voti riportati nelle corrispondenti materie svolte all’estero e alla fine abbiamo deciso di trasferire nostro figlio in uno di questi. Non le sembra, caro direttore, che il ministero dell’Istruzione e quello degli Esteri, che sono i promotori del progetto di interscambio culturale che mio figlio ha utilizzato, dovrebbero regolamentare in modo univoco anche il rientro degli studenti, senza lasciare alla "libertà" del singolo istituto o del singolo consiglio di classe il da farsi? Uno studente che ha brillantemente studiato e dato ottimi risultati nella sua scuola già prima di partire, che ha fatto un piano di studio con materie fondamentali all’estero riportando il massimo dei voti, secondo lei al suo rientro è stato trattato in modo adeguato dalla sua scuola o piuttosto in modo – diciamo così – "esemplare", allo scopo di scoraggiare tutti gli altri studenti dal compiere un’esperienza di studio all’estero?
Antonella Crea, Roma
 
 
Come accade spesso, cara dottoressa Crea, la domanda che lei mi propone ha già in sé la risposta. Ma come nel nostro Paese accade ancora più spesso, la risposta ce la siamo evidentemente persa per strada. E poco importa che la risposta sia semplice, lineare, davvero scontata. Voglio dire che mi pare del tutto ovvio che un sistema scolastico capace di aprire canali di comunicazione e di interscambio con i sistemi scolastici di altri Paesi dovrebbe essere altrettanto capace di fissare procedure standard per scongiurare o, comunque, ridurre al minimo problemi, inghippi, penalizzazioni per gli studenti meritevoli e sconcertanti discrezionalità. Purtroppo il caso di piccola grande ingiustizia che lei solleva non è il primo e, temo, non sarà neanche l’ultimo. Invece, vorrei proprio che lo fosse. E spero che il ministro dell’Istruzione la pensi allo stesso modo...
Mi sembra che lei, cara amica, sia in sostanza arrivata alla conclusione che in certe scuole si punti a scoraggiare l’«andata» all’estero dei nostri ragazzi per compiere un tratto del loro percorso formativo. Io mi auguro che non ci sia in qualche misura, già a questo livello, anche qualcosa d’altro: una sorta di strana volontà di scoraggiare il «rientro» dall’estero. Un ragionamento del tipo: «Hai scelto di studiare anche altrove? Meglio se ci resti…». Un po’ come succede più avanti nell’età a quei ricercatori e quei docenti delle più diverse materie – ne conosco diversi personalmente – che avrebbero voluto (e ancora vorrebbero) lavorare in Italia ma sono indotti o proprio costretti a "fermarsi" altrove.
Tornando ai nostri liceali – non tutti figli di nababbi – che riescono ad andare per un anno negli Stati Uniti o in Francia o in Germania o in Spagna grazie ai programmi concordati tra gli Stati (e a una preziosa rete di famiglie ospitanti) sembra quasi dal suo racconto che questa avventura educativa non sia considerata da qualcuno un investimento (bello, faticoso e oneroso per i ragazzi e i loro genitori), ma un atto un po’ snob e che snobba la scuola italiana. Beh, presidi e insegnanti che ragionano così sarebbero solo miopi. Proprio per questo avere regole chiare e uguali per tutti gli istituti che garantiscano un buon paio di occhiali che aiutano a rimettere bene a fuoco le cose risulterebbe davvero opportuno.
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