In questo finale di campagna elettorale, che ha visto per la prima volta al centro il dilemma unità/scomposizione, può risultare istruttivo dare un’occhiata a qualcosa che l’ideale europeista ha prodotto di utile per la società. La corsa blustellata allo spazio ha registrato un crescente interesse industriale, per le ricadute nei settori produttivi interni dei singoli Stati. L’immagine, fornita dall’ESA, mostra un rendering di un satellite Sentinel (AP Photo / European Space Agency, ESA)
Ieri l’Agenzia spaziale, oggi il megacalcolatore comunitario: dallo spazio siderale all’infinito numerico. Ci sono ambiti incommensurabili, terreni di ricerca e di impegno umano, oltre che finanziario e tecnologico, in cui la “Vecchia Europa” ha constatato, con l’umiltà imposta dall’esperienza, che solo l’Unione può davvero fare la forza. Nel primo caso la scoperta è quasi remota, risale ai tempi in cui la Ue si chiamava ancora Cee, Comunità economica europea, e a formarla erano appena nove Paesi, invece dei “27ancoraperunpoco28” di oggi. Nel secondo caso la presa d’atto è molto recente, è stata sancita appena un anno fa e solo da pochissimo ha ricevuto la necessaria dotazione di mezzi per dare concretezza al progetto. In questi giorni finali di una campagna elettorale che ha visto per la prima volta al centro il dilemma unità/scomposizione, può risultare istruttivo dare un’occhiata a qualcosa che l’ideale europeista, per riconoscimento pressoché unanime, ha prodotto di positivo. Così come di quanto ancora potrà regalare ai suoi cittadini, compresi quelli più riottosi e scontenti. Perché anche gli ultras del sovranismo, dovendo tirare le somme di un sessantennio e immaginare scenari futuri che tutti ci riguardano, devono ammettere l’esistenza di un bilancio quanto meno in chiaroscuro.
Nella corsa allo spazio, del resto, la piccola Europa uscita sconvolta dalla guerra si è dimostrata capace di una lungimiranza che ha pochi confronti. Alle prese con i giganti Usa e Urss, impegnati già dagli anni ’50 in una competizione costosissima per la supremazia mondiale, la cooperazione messa a punto da Francia, Germania, Italia e Regno Unito è riuscita a garantire in breve tempo una reale capacità di misurarsi da pari a pari, sia sul piano scientifico-tecnologico che su quello industriale-commerciale. La nascita dell’ESA (l’European Space Agency) nel 1975, dopo un ventennio pionieristico dovuto all’impulso di scienziati di statura mondiale come il nostro Edoardo Amaldi e il francese Pierre Auger, si deve anche alla constatazione che la Nasa americana si mostrava sempre meno incline a favorire gli esperimenti e i lanci europei, per timore di fare il gioco della concorrenza proveniente da questa parte dell’Atlantico. Dalla sua sede parigina, l’Agenzia, che oggi conta 22 Paesi aderenti, ha promosso e realizzato numerosi programmi e missioni di grande successo. A cominciare dalla sonda Giotto, lanciata nel 1985 dalla Guyana con il razzo Ariane 1 (anch’esso tutto europeo) per studiare la cometa di Halley, per finire con la missione di Rosetta (il lancio è del 2004), altra sonda cacciatrice di comete, con i suoi dodici anni di durata e gli otto miliardi di chilometri percorsi, ma soprattutto con il suo “risveglio” miracoloso dopo due anni e mezzo di ibernazione nello spazio profondo e la mole davvero stratosferica di immagini e di informazioni scientifiche prodotte, che impegneranno per decenni lo studio degli esperti.
Oltre ai successi in campo scientifico e tecnologico (si pensi anche alla realizzazione della Stazione spaziale internazionale), la corsa allo spazio sotto la bandiera blu-stellata ha registrato un crescente interesse industriale, per le ricadute positive nei settori produttivi interni dei singoli stati. Finché, a partire dal 2007, l’Unione ha cominciato ad elaborare, sempre in stretta collaborazione con l’ESA, una vera e propria “Politica spaziale europea”. Da ultimo, con il Trattato di Lisbona di dieci anni fa, si è attribuita una specifica competenza comunitaria in materia, assumendo e rilanciando contemporaneamente due fondamentali programmi strategici. Il primo, denominato Galileo, è un sistema di navigazione e di posizionamento orbitale globale, basato su una rete di satelliti (attualmente 26), che consente di coprire le telecomunicazioni sull’intero globo terrestre, affrancandosi via via dall’analogo sistema della Difesa americana – il Gps che tutti conosciamo sui nostri cellulari e sulle automobili – soggetto a limitazioni strategiche. Il secondo programma, in sigla Egnos, integra Galileo e potenzia fortemente la stessa localizzazione con il Gps, grazie a tre ulteriori satelliti e a 44 stazioni interconnesse a terra.
Non si può infine dimenticare il programma “Copernicus“, con la sua costellazione di satelliti “sentinella“, che sta rivoluzionando il sistema di osservazione e di monitoraggio degli ecosistemi terrestri, la gestione dei fenomeni climatici e la prevenzione delle catastrofi naturali, dando impulso in tutto il Continente a nuove ricerche in campo scientifico e alla nascita di start up innovative in campo energetico, agricolo, ambientale e anche sanitario. Può sembrare una descrizione a tinte eccessivamente rosa, ma è la semplice realtà, purtroppo poco conosciuta, forse anche a causa di imperizia comunicativa dei vertici comunitari e nazionali. L’impatto positivo in termini economici e di benessere diffuso di questi “eurofatti” è altrettanto scarsamente noto al grande pubblico. Ma basti dire, a titolo di esempio, che entro la metà degli anni ’20 il mercato globale indotto dai sistemi di navigazione satellitare supererà largamente i 250 miliardi di dollari. Non è lo stessa cosa parteciparvi da attori principali o da comparse. Non a caso, nella 11esima Conferenza sulla politica spaziale europea, che si è tenuta a fine gennaio di quest’anno a Bruxelles, lo sguardo sugli sviluppi futuri si è ampliato ancora, allargandosi alle interazioni fra comunicazioni satellitari e ruolo della digitalizzazione e intelligenza artificiale nei servizi spaziali. E qui tocchiamo il tema dell’altra grande sfida che l’Unione ha deciso di affrontare insieme, rinunciando a procedere in ordine sparso, pena l’insignificanza su scala mondiale.
Nell'ultima seduta plenaria della legislatura, il Parlamento di Strasburgo ha approvato a metà aprile il programma definito “Europa digitale”, con 9,2 miliardi di euro di dotazione per il settennio 2021-2027, destinato a finanziare iniziative strategiche in cinque ambiti cruciali: supercalcolo, intelligenza artificiale, sicurezza informatica, competenze digitali avanzate e garanzia per l’uso e la diffusione delle tecnologie digitali nell’economia e nella società. A proposito di supercalcolatori, oltre un quarto delle risorse stanziate sono destinate alla realizzazione di un mega-computer ad alte prestazioni (qualcosa come un miliardo di miliardi di operazioni al secondo), che nessun Paese membro sarebbe in grado di permettersi da solo e che avrà forti e positive ricadute pratiche in campo sanitario ed energetico, come pure nei trasporti e nella cybersecurity. Nel voto di fine maggio, dunque, non sono in ballo soltanto questioni immigratorie e altri argomenti più o meno “divisivi”. Si giocherà anche una buona dose di progresso e benessere comune, ben difficilmente sostituibili con margini di ritrovata sovranità. Sarà opportuno tenerne conto.