Se, in questo tsunami che incredibilmente ha sommerso mezza Romagna – quelle pianure fertili, quelle colline dolci, quella gente gentile – scorri l’elenco dei morti, vedi come nel più dei casi abbiano almeno ottant’anni. C’è il vecchio barbiere del paese che la moglie non è riuscita a fare alzare dal letto in cui era paralizzato: morto travolto dall’acqua, nella sua stessa casa. Ci sono cellulari di padri e nonni che squillano a vuoto, oppure quella voce automatica che ripete all’infinito: “L’utente non è al momento raggiungibile”.
Telefoni scarichi forse, o dimenticati nella fuga? 21 fiumi esondati, 450 strade interrotte, quante case ancora non raggiunte? Ma, quando arrivano, i soccorsi trovano magari una coppia di vecchi coniugi annegata nella cantina in cui erano scesi, affannati, a recuperare del cibo da un freezer. L’elenco delle 14 vittime comprende una donna di 95 anni, e un signore anziano e solo che a nessun costo voleva lasciare la sua casa, a Castel Bolognese. La vicina che inutilmente aveva cercato di convincerlo a sfollare era al telefono con lui, mentre l’acqua entrava: «Galleggiano i mobili», diceva l’uomo, e: «Ho freddo…» Poi, la linea cade. E quella coppia di allevatori del paese di Russi, 3.000 maiali nella stalla, perché si è attardata, perché non ce l’ha fatta?
Quasi tutti vecchi, i morti. Naturale, con l’età si è meno pronti, meno agili. E tuttavia questo elenco di uomini e donne con i capelli bianchi rimasti sotto il fango, se ti ci soffermi un momento fa pensare. Pure nei generosi soccorsi di Protezione Civile, Vigili del fuoco e volontari, qualcuno è rimasto indietro. “ Left behind”, come nel titolo di un vecchio film.
Anziani malati, o soli. O testardi, di quella testardaggine che si comincia a capire solo quando invecchiamo anche noi. No, non voleva lasciare la sua casa il signore di Castel Bolognese, perché la sua casa era tutta la sua vita. Quelle case con i mobili scuri e massicci di una volta, e i calici di cristallo ben allineati e lucenti dietro l’anta di vetro, e sopra al letto una Madonna che ha visto nascere molti bambini. Una casa così, quell’uomo non poteva lasciarla. E non è follia: è essere molto anziani, essere soli, e pensare di non potere sopravvivere fuori dalle proprie mura colme di ricordi. Dimenticati in case isolate nel panico dell’acqua che sale, o disperatamente cocciuti nel voler restare - perché la vita, strappati da casa a novant’anni, a qualcuno può fare più paura che la morte.
Storie di vecchi in qualche modo lasciati indietro. Loro le prime vittime, in questi disastri naturali che si ripetono sempre più frequenti. Forse perché in qualche modo erano già stati lasciati indietro, nel tempo in cui tutto comincia con un www che loro non capiscono, nel tempo in cui bisogna avere lo Spid e ricordare le password, mentre magari in carrozzella attendi da mesi una Tac, e qualcuno che ti accompagni in ospedale?
In queste case di stanze vuote, sempre più numerose, si riesce a fatica a cavarsela nell’ordinario quotidiano. Ma un disastro come questa alluvione può strappare le ultime maglie sociali che tengono, e svelare solitudini estreme. Quegli uomini come i relitti che restano immoti, quando l’acqua si ritira.
Per uno che muore, certo, cento sono salvi, però quanto più dei giovani smarriti. I ragazzi, gli adulti di questa terra forte ricominceranno. Alcuni vecchi, invece, come sradicati. L’anziana signora che all’ingresso del paese di Sorrivoli, scrive su “Avvenire” di ieri Francesco Zanotti, chiede allo sconosciuto: «Lei, andrebbe via?», e guarda con sgomento le voragini spalancate dalle frane. E quelli che nelle brande dei Palasport non vogliono dormire, e insistono, cocciuti, per tornare a casa.
Nella sciagura si svela un mondo spesso invisibile, un’Italia che rischia di essere lasciata indietro. Hanno belle facce quei ragazzi generosi che spalano fango nelle strade, in cambio di niente. Verrebbe da dirgli però che – a diciott’anni forse non lo si capisce ancora – c’è un fango più duro: il silenzio, il deserto, magari nella casa accanto. Fossero i figli – nostri e degli altri, magari scuri di pelle, magari profughi di guerre lontane – ad abbracciare certe solitudini. Ad insegnarci, loro, la loro voglia di vivere. Ci aiuterà a riemergere, tutti.
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