Il XXI secolo è considerato dagli studiosi il secolo della vecchiaia. Già qualche decennio fa Guy Gilbert, uno dei «preti di strada» tra i più noti in Europa, cogliendo questa inclinazione della storia, affermava icasticamente: «Gli anziani, ecco il futuro!». A dire il vero continuava a crescere una letteratura che riteneva la questione degli anziani tra quelle cruciali del futuro delle nostre società. Nel cuore del Novecento, mentre il mondo era attraversato da un’atmosfera nuova di cambiamento – basti pensare al Sessantotto nella società civile e al Concilio vaticano II nella Chiesa cattolica – gli anziani aumentavano di numero: senza far rumore, ma senza sosta. Non si imponevano come i giovani.
Ed è stato facile ignorarli: anzi, era quasi un obbligo. Bob Dylan, in quegli anni, invitava gli adulti e gli anziani a farsi da parte: «Per favore, toglietevi di mezzo / se non potete dare una mano, / perché i tempi stanno cambiando». Simone de Beauvoir, da parte sua, con il volume La vieillesse (1970) rompeva quella che lei chiamava la «congiura del silenzio» sugli anziani. Si consumava nell’indifferenza: nella convinzione comune, la vecchiaia restava una disgrazia; e i vecchi scarti da mettere da parte. E questo iniziando da casa propria. Non ho mai dimenticato l’amara affermazione di don Oreste Benzi, tra i primi ad affrontare la piaga dell’emarginazione degli anziani: «Dio ha fatto la famiglia, gli uomini hanno fatto gli istituti». I n soli cento anni (dal 1900 al 2000) gli abitanti dei Paesi occidentali – ma presto sarà così anche negli altri– hanno guadagnato trent’anni di speranza di vita in più alla nascita: tre mesi in più ogni anno, un anno ogni quattro.
La crescita del numero degli anziani non è perciò un declino: è una grande conquista. Entro il 2050 gli anziani arriveranno a due miliardi, il 22% della popolazione mondiale. In Italia è già così: oggi gli italiani sopra i sessantacinque anni sono il 22% della popolazione (nel 1960 erano il 9%; nel decennio successivo raggiunsero l’11%; nel 1980 il 13%, il 16% nel 2000 e nel 2016 il 22%, ossia 13,4 milioni). Si può parlare di una effettiva «vittoria» dell’umanità, anzi di un sogno che si stava realizzando: non morire più da giovani e quasi oltrepassare le frontiere della morte, che per secoli hanno decapitato la vita. Le generazioni che ci hanno preceduto hanno conosciuto la morte da giovani. Hanno vissuto poco. Tanto che, in alcu- ne culture come quelle africane, ma non solo, i pochissimi vecchi erano espressione di saggezza e la loro morte una rovina, paragonata alla scomparsa di una biblioteca. Nella Bibbia la lunga vita è considerata una benedizione di Dio.
Nella nostra società sembra avvenire il contrario: non solo una lunga vita non è considerata una benedizione, ma viene ritenuta un naufragio. Una convinzione ben radicata ancora oggi. Tanto da poter dire che il peggior nemico della vecchiaia è l’idea che ne abbiamo; appunto, un naufragio. Per lo meno da come tanto spesso si vedono gli anziani, i quali vengono quasi penalizzati per vivere troppo a lungo, o comunque considerati un peso soprattutto per la spesa sanitaria o pensionistica. Come se gli anziani togliessero spazio alle giovani generazioni; aumentassero la spesa per la salute perché disabili; non stessero al passo con i tempi. Insomma, un peso troppo alto per una società impoverita.
Che irresponsabi-lità! Da una parte l’invecchiamento è un successo della società, dall’altra lo si rifiuta. È urgente una riflessione nuova, una politica meno distratta, una spiritualità più attenta per questo «nuovo popolo » di anziani che è apparso sul pianeta. Oggi il volto della vecchiaia è molto cambiato: è quello di una massa di persone che continua a vivere in una società diventata ben più complessa e conflittuale. Molte persone vivono già oggi più a lungo e anche meglio. Certamente non tutti, anzi. E comunque non c’è un paradigma che permetta un’adeguata organizzazione della società. Non si tratta solamente di «invecchiare bene» ma di fare di questo lungo tempo una opportunità perché tutti possano crescere in una prospettiva solidale, fraterna, amicale. Deve essere evitata una «cattiva» vecchiaia. Ma questo inesorabilmente avverrà se non riusciamo a elaborare una nuova visione per il futuro degli anziani, se non riusciamo a disegnare un nuovo futuro per questo nuovo popolo.
Nel cuore del Novecento all’interno della Chiesa è maturata una nuova alleanza nei confronti degli anziani. Anche per lei la loro crescita numerica è stata una sfida, oltre che per le società. Non sempre e non subito tuttavia è stata raccolta. La Chiesa, nella scelta di proiettarsi verso le giovani generazioni, proprio negli anni della riforma conciliare, ha rischiato di mettere da parte quel mondo della pietà e della religiosità popolare che segnava in maniera profonda la vita spirituale degli anziani. Se la pastorale giovanile diveniva uno dei grandi temi della Chiesa – e come negarne l’urgenza? –, purtroppo non sempre ci si chiedeva in maniera altrettanto forte che cosa potesse significare un’azione pastorale per aiutare gli anziani a vivere la loro fede anche negli ultimi anni della vita. Fortunatamente le cose sono molto cambiate, anche se il cammino resta ancora lungo.
C’è bisogno di un supplemento di pensiero, di uno scatto morale, di una nuova cultura politica sulla vecchiaia e di una rinnovata riflessione anche re- ligiosa perché si disegni una società rispettosa della «terza età» e delle altre stagioni della vita. In questo orizzonte largo, l’età anziana può rappresentare una riserva di memoria storica e di vita spirituale che doni alla società un supplemento di ossigeno, a partire – se pensiamo agli anziani credenti – dalla preghiera che nel tempo della vecchiaia è facile che si intensifichi. La preghiera è un dono preziosissimo che gli anziani possono fare alla società e alla Chiesa.
Ricordo un’anziana che mi disse di aver compreso perché il Signore le dava gli anni della vecchiaia: «Ho più tempo» mi disse «per pregare per la pace nel mondo». Si era fatta un elenco dei Paesi della terra e ogni giorno pregava per la pace in uno di essi. Questo piccolo episodio mi richiama alla mente quanto diceva a tale proposito Olivier Clément, grande teologo ortodosso: «Una civiltà dove non si prega più è una civiltà dove la vecchiaia non ha più senso. E questo è terrificante, noi abbiamo bisogno prima di tutto di anziani che pregano, perché la vecchiaia è data per questo».
Si tratta di crescere in sensibilità, in inclusione, in flessibilità, per affrontare i nuovi scenari demografici e per vivere l’invecchiamento come chance. Va elaborata una cultura che faccia spazio a quel che di positivo, di profondo, di bello, di benefico esiste in ogni età. E quindi anche nella vecchiaia che – per la prima volta nella storia – è diventata di massa. L’intera società trarrà giovamento da questa prospettiva: uno scenario di maggiore coesione sociale e generazionale.
Certo, conosciamo bene le difficoltà, anche gravi, dell’invecchiamento. Ma sappiamo che se alcune capacità declinano, altre si affinano. Molti sono gli interrogativi che si affacciano e ci sfidano: riusciremo a riempire di gioia e vitalità tutti questi anni in più che ci vengono donati? Sapremo mantenere operose le persone più anziane, senza condurle all’inattività? Sapremo modificare il mondo per consentire loro di partecipare più a lungo alla vita sociale senza dipendere dagli altri? Sapremo comprendere che anche nell’infragilimento la vita ha un senso? Chi si farà carico dell’assistenza necessaria agli anziani? E chi la erogherà?
Presidente Pontificia Accademia per la Vita
IL LIBRO
Lezioni sulla «vita lunga» Il Papa spiega la terza età
Esce oggi «La vita lunga. Lezioni sulla vecchiaia » (Solferino, 224 pagine, 17 euro), che raccoglie le 18 catechesi del Papa all’udienza generale per il ciclo sulla vecchiaia (dal 23 febbraio al 24 agosto) più altri otto suoi interventi sul tema, da incontri con associazioni agli interventi per la prima Giornata mondiale dei nonni. Introduce il libro un saggio di monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, del quale in questa pagina pubblichiamo alcuni passi.