Caro direttore,
in queste settimane ho avuto modo di vedere diversi filmati sulle manifestazioni dei cosiddetti “gilets jaunes”. Sono rimasto profondamente scosso dai numerosi episodi documentati in cui le Forze di polizia francesi si sono rese responsabili di azioni violente del tutto immotivate dal contesto e, talvolta, davvero gravi. Ad esempio si vedono diversi anziani, alcuni anche con problemi di mobilità, picchiati selvaggiamente con i manganelli, buttati a terra e ammanettati oppure donne e ragazze spintonate e scaraventate sul selciato. Preciso che si tratta di persone ferme, vestite normalmente, senza travisamenti, né armi e che non hanno atteggiamenti aggressivi o violenti. Troppi i casi per essere solo delle iniziative personali ed eccezionali. Lo trovo davvero un comportamento indegno e vergognoso che, però, fa risaltare ancor di più la professionalità, la ragionevolezza e il senso realmente democratico e di legalità della stragrande maggioranza degli uomini e delle donne delle nostre Forze dell’ordine.
Lorenzo Marzona
Forse non è il giorno giusto per risponderle, caro signor Marzona. Quando due Paesi , come Italia e Francia, che a giusto titolo possiamo definire fratelli e co-fondatori dell’Europa della pace e della prosperità, si ritrovano a scambiarsi roventi accuse e a convocare gli ambasciatori, c’è solo da essere preoccupati. Ma ragioniamo pure sul tema che mi propone, perché fatti e misfatti di Francia, da parte di chi continua a manifestare anche con veemenza e di chi è tenuto a fronteggiare quelle manifestazioni, inducono a riflettere anche sui casi di casa nostra. Lei, gentile amico, sottolinea un dato per noi italiani positivo. Sono d’accordo con lei. Il senso della legalità e della democrazia delle nostre Forze dell’ordine è radicato. Ed è un patrimonio che va custodito e alimentato, perché – appunto – è solido, e tuttavia non è scontato (come alcuni drammatici casi purtroppo dimostrano) e non è inesauribile. Anche per questo c’è uno speciale dovere che grava non soltanto su chi guida quei cittadini in divisa, ma anche e soprattutto su chi porta la responsabilità politica e morale – i ministri per primi – dell’ordinaria e straordinaria azione a presidio della libertà, della civile convivenza e della sicurezza pubblica nella nostra Repubblica.
Parole e gesti devono – o dovrebbero, vista certa recente propensione al battutismo più corrivo e corrosivo – essere sempre all’altezza del limpido compito costituzionale affidato ai tutori dell’ordine democratico e del servizio che essi sono tenuti a rendere a chi in Italia vive e lavora o anche soltanto soggiorna e viaggia. E questo soprattutto oggi, in questo tempo in cui non pochi politici e governanti in tutto il mondo hanno preso a proclamare apertamente che la sicurezza è il bene assoluto, e il cuore dell’ordine è l’ordine stesso. Una linea gravida di pericoli, come ci ha ricordato anche il presidente della Cei, cardinale Bassetti: perché il male, oltre alla potenza e alla ricchezza, «ama l’ordine fine a se stesso». Una linea che purtroppo trova il pronto sostegno di opinionisti disposti a teorizzare, come è stato fatto su un importante quotidiano romano, che «un Paese può vivere, o almeno sopravvivere, anche con un’economia disastrata, e persino senza libertà, come avvenne per i regimi comunisti e nazifascisti; ma non può sopravvivere senza sicurezza». Un Paese che vive senza libertà e nell’ingiustizia è tutto meno che sicuro, e il governo (o il regime) che lo riduce a questa condizione si avvia inesorabilmente a compiere misfatti e prepara la sua stessa caduta, quasi sempre rovinosa. Ma il prezzo lo paga innanzi tutto la gente semplice. E anche questo, ahinoi, è sicuro.