La pace non è un sogno da deboli e ingenui. La pace è la scelta dei forti. Questo è stata la convinzione manifestata a Roma dalle voci dei partecipanti all’incontro interreligioso di preghiera per la pace, promosso dalla Comunità di Sant’Egidio. Giustamente il presidente Sergio Mattarella, all’inizio, ha espresso la sua preoccupazione per la situazione internazionale: «Il disordine produce disordine. Le guerre hanno un effetto “domino”, moltiplicatore. Le guerre sono contagiose ». Questa realtà è emersa evidente nei tanti interventi del convegno. La nostra pace, già così fragile, è a rischio più di quanto crediamo. Nel panel dedicato alla crisi di Cuba del 1962, si è sottolineata con preoccupazione l’incombente minaccia nucleare.
C’è, innanzi a noi, un enorme spazio d’incertezza e di casualità. Che succederà? Una ragazza ucraina, sentendo questi discorsi, è scoppiata in lacrime: «Allora l’Ucraina sarà la prima colpita!». Infatti, quando parliamo di pace, l’Ucraina è la prima grande preoccupazione. La pace non è una parola che appartiene a chi ha aggredito. Chiediamo pace per l’Ucraina. Ma anche per la Siria, dove si vede come le guerre del nostro tempo globale si eternizzano. E lo Yemen, il Nord del Mozambico, il Sahel, e altre regioni. Nel mondo globale, le guerre si comunicano e trascinano il mondo non solo nel vortice della violenza, ma anche in quello delle povertà. Un grido condiviso da parecchi laici umanisti. In apertura, il presidente Macron ha ribadito la solidarietà attiva della Francia verso l’Ucraina dopo l’aggressione russa. Ha parlato da uomo di Stato occidentale ma, allo stesso tempo, ha rivelato un animo inquietato alla ricerca di pace. Ha detto: «La pace è impura, profondamente, ontologicamente, perché accetta una serie di instabilità, di scomodità, che rendono però possibile questa coesistenza tra me e l’altro ». Non dobbiamo forse percorrere di più le vie di pace, con la diplomazia e il dialogo? Certo. Proprio ora, che rischiamo di cadere nel baratro dello scontro atomico. Proprio ora che l’Ucraina vede un quinto dei suoi abitanti profughi in Europa.
L’appello finale, firmato da papa Francesco e dagli altri leader religiosi, così suona: «Con ferma convinzione diciamo: Basta con la guerra! Fermiamo ogni conflitto. La guerra è un’avventura senza ritorno. Disinneschiamo la minaccia nucleare o, alla fine, perderemo tutti!». È un avvertimento ai responsabili politici: « Liberiamo il mondo dall’incubo nucleare. Riapriamo subito il dialogo sulla non proliferazione nucleare e per lo smantellamento delle armi atomiche ».
L’appello è stato consegnato, davanti al Papa, da Edith Bruck, ebrea ungherese e scrittrice italiana, sopravvissuta alla Shoah, a un gruppo di giovani, come testimoni del “grido della pace”. I giovani sono stati molto presenti all’incontro romano, smentendo l’immagine di una generazione disinteressata e ai margini delle grandi questioni: si chiedono che cosa sarà di questo mondo e del loro futuro. Marco Impagliazzo, parlando davanti al Colosseo, ha fatto sentire la voce di grandi uomini di pace del Novecento in questo nostro secolo, un po’ avventurista e dimentico delle lezioni delle guerre. Nel corso della crisi di Cuba, papa Giovanni implorava i governanti: « Ascoltino il grido angoscioso che, da tutti i punti della terra, dai bambini innocenti agli anziani, dalle persone, alle comunità, sale verso il cielo: Pace! Pace!». Sono parole di un’attualità impressionante. Non si può restare sordi al grido “angoscioso” di milioni di innocenti. La voce di questi umili fa eco alla Parola del Signore. È la profezia della pace. Per noi credenti è la volontà di Dio. Ha detto papa Francesco: «L’invocazione della pace non può essere soppressa: sale dal cuore delle madri, è scritta sui volti dei profughi, delle famiglie in fuga, dei feriti o dei morenti. E questo grido silenzioso sale al Cielo.
Non conosce formule magiche per uscire dai conflitti, ma ha il diritto sacrosanto di chiedere pace in nome delle sofferenze patite, e merita ascolto. Merita che tutti, a partire dai governanti, si chinino ad ascoltare con serietà e rispetto. Il grido della pace esprime il dolore e l’orrore della guerra, madre di tutte le povertà». L’incontro di Roma ha manifestato una forte speranza, fatta di fiducia nell’aiuto di Dio, di aspettativa verso i responsabili politici, di confidenza nella volontà di pace dei popoli. Gli ebrei hanno pregato sotto l’arco di Tito, che conserva l’immagine del saccheggio del tempio e della distruzione di Gerusalemme. I cristiani nell’anfiteatro del Colosseo, luogo di violenza e di martirio. Il male non può vincere. Il presidente di Sant’Egidio ha fatto sue le parole di Martin Luther King: «Credo ancora che un giorno l'umanità si inchinerà davanti agli altari di Dio e trionferà sulla guerra e sullo spargimento di sangue».