martedì 25 febbraio 2025
Francesco, pur nella sofferenza, ha autorizzato i decreti che riconoscono l'offerta della vita del giovane militare nel 1943. Così nelle guerre di oggi si riconosce ciò che risponde a un'altra logica
Un ritratto di Salvo D'Acquisto

Un ritratto di Salvo D'Acquisto - ANSA

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C’è un uomo molto malato in un ospedale. I medici ogni giorno tracciano un bollettino sul suo stato come in punta di piedi, soppesando ogni parola. Certe notti sono interminabili, l’ossigeno scorre rumoroso dalle bombole; certe mattina, con l’alba, va meglio. Quell’uomo è il Papa, conscio di trovarsi in una fragilità estrema.

Eppure trova modo di fare un gesto: una firma. Salvo D’Acquisto, giovane carabiniere che nel ‘43 offrì la sua vita per salvare 22 uomini da un rastrellamento nazista, con quella firma è “venerabile”. C’era nei libri di storia, quel nome, nelle ultime pagine. Due righe: un ragazzo napoletano di 23 anni, arruolato nei carabinieri, si era ritrovato in un paese a trenta chilometri da Roma, Torre in Pietra. Qui dopo l’8 settembre era arrivata una brigata di paracadutisti tedeschi, che si stabilirono in una caserma della Guardia di Finanza. Aprendo delle casse abbandonate scoppiò una bomba, che uccise due militari. Era di pochi giorni prima l’ordine del Feldmaresciallo Kesselring: rappresaglia, contro chi attaccava gli occupanti. In quella borgata romana i tedeschi rastrellarono la mattina dopo 23 uomini. Venne loro ordinato di spalare, con i badili, una grande fossa.

Il vicebrigadiere D’Acquisto era il responsabile della stazione. Cercò di convincere i nemici che non era stato un attentato, che degli ordigni per la pesca di frodo, sequestrati dalla Finanza e dimenticati, erano esplosi, senza colpa di nessuno. Quelli però non cedevano. 22 vittime volevano, per dare una lezione. C’erano, fra quei disgraziati 22, padri di famiglia.

C'erano venditori ambulanti di frutta e muratori: i primi ad andare al lavoro all’alba furono catturati. Avevano detto a D’Acquisto, la sera prima, di trovare i responsabili, o avrebbe pagato chi capitava. Chissà che notte, in caserma, per un carabiniere che prima di tutto era un cristiano. Un colpevole, non lo aveva. E degli innocenti sarebbero stati fucilati. Chissà che dialogo disperato - in italiano, in tedesco - fra D’Acquisto quelli della Luftwaffe. Ma poi, implacabile, il “no” del capo. Ci aveva già pensato, lui, la notte, nel suo letto? «La mia vita, in cambio».

Terribile pensiero, a vent’anni, inaffrontabile pensiero. Ma, e quelli che all’alba sarebbero finiti nella rete, i padri che non sarebbero tornati? Nessuna legge poteva obbligarlo a morire al posto loro. Tranne quella di Cristo: nessuno ha un amore più grande, che dare la vita per i propri amici.

E il vicebrigadiere scelse. All’alba, la fossa pronta, i 23 atterriti e muti, disse: ammazzate me. (Se ci pensi, quell’attimo ti toglie il fiato. Chi lo farebbe? Da dove viene un coraggio simile a vent’anni, quando tutto in te vuole vivere?).

Ti colpisce questa firma, come urgente, di un Papa che respira con affanno, mentre il mondo attorno vive ore cruciali: che quel ragazzo del 1943 sia venerabile. Forse perché di nuovo siamo dentro a una grande guerra. Forse perché Francesco le immagini e le voci dell’Ucraina, di Gaza, del Sudan e di altre dimenticate guerre le ha nel cuore. Allora si è ricordato di quel giovanissimo carabiniere. Era un momento d’inferno, la guerra civile in Italia. «Prendete me». Le facce dei tedeschi, allibite, gli ostaggi increduli. Nel mezzo dell’inferno, una rivoluzione. Ritorna in mente un’esortazione di Italo Calvino: «Cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio».

Salvo D’Acquisto era colui che non era inferno. Uno straniero, nell’inferno. Poco più che ragazzo, ma capace di dare la vita per altri.

Francesco da anni ci dice che siamo in una Terza guerra mondiale in pezzi. In questi suoi giorni di affanno al Gemelli ci ha ricordato un gesto della guerra del ‘43. Assurdo gesto - quei tedeschi tornati a casa forse ci pensarono per tutta la vita. «Chi era quello?», si chiedevano. Un pazzo, si rispondevano. Ma, invecchiando, se lo chiedevano più spesso. Quegli occhi, la voce serena. «Prendete me». Riconoscere chi nel mezzo dell’inferno non è inferno, e obbedisce a un’altra legge. La firma della mano affaticata del Papa, come a dirci qualcosa.

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