Il dono non svolge affatto un ruolo marginale nel sistema sociale ed economico contemporaneo, e la ricerca sociale ci conferma che è e resta l’architrave della qualità delle relazioni all’interno di organizzazioni sociali e produttive ed è una componente fondamentale della soddisfazione di vita.
Ieri, alla vigilia della Giornata nazionale del dono, sono state presentate stime aggiornate che parlano di una crescita delle somme donate e delle donazioni di carattere informale in Italia assieme, però, a una marcata difficoltà delle donazioni orientate alla cooperazione allo sviluppo: le organizzazioni operanti in questo settore che dichiarano di aver aumentato i fondi raccolti rispetto all’anno precedente sono scese dal 43 al 23%.
Un dato, quest’ultimo, che misura gli effetti della ben nota campagna politico-mediatica, costruita soprattutto sui social, che negli ultimi tempi ha stravolto e trasformato quasi nel loro opposto i significati delle parole e degli atti di bontà, accoglienza e solidarietà. Una campagna organizzata con metodi manipolativi degli stessi social media e dalla quale il mondo del Terzo settore è stato colto di sorpresa, tardando a reagire con una risposta collettiva. Ma questo vuol semplicemente dire che la sfida è più che mai aperta.
C’è poco da cantar vittoria, infatti, anche da parte di chi ha armato quell’aspra campagna. Perché svilire e sottovalutare il valore del dono può produrre effetti devastanti in una società, finisce per snaturarne l’identità e per infragilirla. George Akerlof ha vinto il Nobel per l’Economia spiegandoci come i meccanismi di scambio di doni (gift exchange) all’interno di organizzazioni produttive cementino la squadra e rinforzino le motivazioni intrinseche dei dipendenti. Il Rapporto 2019 sul Dono in Italia segnala, non per nulla, la forte crescita del volontariato aziendale come strumento di rafforzamento della squadra di lavoro, delle motivazioni intrinseche dei dipendenti e del senso della loro presenza all’interno dell’azienda.
E i risultati del Rapporto mondiale sulla Felicità identificano nella "gratuità" una delle sei variabili chiave che spiegano il 75% delle differenze di soddisfazione di vita tra Paesi. Il Rapporto italiano sul dono conferma questa realtà, sottolineando come chi dona è più soddisfatto della propria vita, ha una visione più positiva del futuro e crede maggiormente nell’efficacia trasformativa di gesti anche piccoli.
Ma ci può essere innovazione nel dono in grado di renderlo più efficace? L’analisi delle buone pratiche presenti nel nostro Paese (indagate lungo il percorso delle Settimane Sociali dei cattolici) nonché il lavoro di laboratorio con gli imprenditori che si propongono di coniugare creazione di valore economico con responsabilità sociale ed ambientale suggeriscono una risposta assolutamente positiva a questa domanda.
Come ricordano gli antichi, il dono è tuttavia ambivalente e non privo di insidie. Escludendo quei meccanismi pseudo-mafiosi dove esso obbliga a una contropartita, l’insidia principale nella società odierna è quella del dono che umilia perché trasforma il ricevente in mero terminale passivo del nostro obolo. Un padre conciliare come Jean Danielou amava dire paradossalmente «se ami qualcuno chiedigli qualcosa in cambio» avendo bene a mente che, se siamo felici nel dare, chi è nel bisogno può acquisire dignità ed essere felice solo se messo anche lui in condizioni di dare.
Per questo esperienze innovative come quelle degli Empori Solidali non si limitano a raccogliere dalla grande distribuzione prodotti ancora commestibili eppure non più vendibili per ridistribuirli a famiglie bisognose, ma trasformano piuttosto queste famiglie e i loro componenti in membri di un’associazione.
Dove si coltiva l’orgoglio di poter contribuire all’opera sociale con il proprio lavoro e si costruiscono rapporti di reciprocità e solidarietà tra gli stessi associati. Le nuove piattaforme digitali consentono di raccogliere tanto da pochi, rendendo potenzialmente molto più efficaci le tradizionali collette (crowdfunding), stimolando la capacità di comunicare e raccontare la propria storia che si trova a competere con tante altre storie alternative. Nascono così i ' broker' dello spreco (AvanziPopolo è un bell’esempio a Bari) che mettono in contatto eventi e luoghi potenziali dello spreco (ricevimenti, banchetti, ristoratori) con tutte le organizzazioni del territorio che esprimono bisogni, consentendo agli eventi sostenibili di esibire il proprio marchio di qualità etica.
Ed è in arrivo l’app che metterà assieme consumo nella grande distribuzione e 5 per mille, dando l’opportunità a chi va nei punti vendita convenzionati di scegliere a quale organizzazione destinare una donazione che il supermercato associa alla sua spesa. Chi dona pensa in genere che il suo piccolo gesto abbia una efficacia trasformativa, ma il senso del dono per la persona 'cercatrice di senso' è più profondo. Ed è colto molto bene da una frase di Vaclav Havel: «La speranza non è ottimismo. Non è la convinzione che ciò che stiamo facendo avrà successo. La speranza è la certezza che ciò che stiamo facendo ha un significato. Che abbia successo o meno». Il dono, di sicuro, lo ha.