Dinanzi a noi osserviamo una natura oltraggiata, ferita, mutilata. Da molti anni il paesaggio, che dovrebbe essere tutelato come recita l’articolo 9 della Costituzione, insieme al patrimonio storico e artistico della Nazione, è stato fatto oggetto di sfruttamento e di consumo perdendo il suo significato oggettivo, la sua aura affettiva e di ricordo collettivo; in tal modo il nostro intento conservativo, che si era espresso politicamente lungo gli anni in provvedimenti e norme, si è affievolito. Una piazza, un campo di grano, un antico palazzo, un bosco di alberi secolari, un giardino sono divenuti soltanto immagini da usare. Si guarda e si mangia, si mangia e si guarda, e mangiando e parlando si dimentica il silenzio che nutre la verità di quelle immagini. In questo 'consumo estetico' non possiamo custodirle né dentro, né fuori di noi. Svanisce il valore della sensibilità e delle norme che hanno avuto bisogno di tanto sforzo per affermarsi. L’apprezzamento ruota ora, in quanto tale, solamente attorno al conto da pagare, nel bar o nel ristorante, lungo le strade, sotto i portici, in un avvilimento della città antica.
Tanti, ma non basta una pagina per citarli, si sono battuti per la salvaguardia del paesaggio e dell’arte insieme. Citiamo almeno Salvatore Settis per i suoi vari libri contro il degrado civile, per mostrare il paesaggio come bene comune di fronte all’indifferenza e alla cancellazione della memoria. E come non ricordare Antonio Cederna, in difesa dell’umanità e della natura.
Il cambiamento climatico ha messo in evidenza gravemente la questione ambientale e pone oggi in evidenza ciò che si chiama transizione ecologica, cosa della quale si tratta e si parla in continuazione. Vediamo però, proprio in questi giorni, anche in riferimento ai provvedimenti che si vorrebbero adottare per legge, che lo sviluppo economico (pur se definito 'sostenibile') e la produzione di energia (pur se definita 'alternativa') sono in procinto di muoversi in senso contrario all’obiettivo europeo di 'consumo di suolo zero' previsto nel 2050; inoltre non riusciamo a trovare ben accolti i princìpi di partecipazione civica diffusa previsti dalla stessa normativa europea; in sintesi i grandi lavori e la 'conversione del verde', a causa di una scelta di liberalizzazioni e di sanatorie, non garantiscono un piano etico-economico ispirato o fondato sul patrimonio che connetta natura arte cultura scienza del nostro Paese.
Il modello industriale che mira alla produzione energetica alternativa, così come appare oggi da tante intenzioni e primi provvedimenti, mette a rischio altissimo l’unico approccio ecologico possibile che sia capace di creare un’azione armonica comune di umanità, ambiente, industria, agricoltura, cultura, civiltà artistica e paesaggio. Non si può pensare all’ambiente senza difendere il paesaggio. Non vorremmo trovarci in un’immagine terribilmente speculare a quella descritta del consumo estetico delle aree di prestigio monumentale storico-artistico o naturale che ora diventerebbe, per un pervertimento mostruoso del senso, una buona soluzione politica perché ' salvaguarda l’ambiente' riscattando un piano energetico: ai bordi di un prato, dietro un filare di alberi maestosi si distenderebbe un orizzonte di pale eoliche, di pannelli fotovoltaici, di discariche mirate allo scopo. È questa la nuova bellezza di cui farsi vanto in un processo di transizione energetica? Il doppio danno descritto, l’immagine dell’avvilimento delle città e dei giardini storici, come l’immagine di una natura votata a emergere solo come espressione d’energia alternativa, distruggerebbero totalmente (consumo estetico o finta bontà etica della volontà verde alternativa) l’identità d’umanità e natura, il cammino materiale, culturale e spirituale della nostra storia. Un’immagine senza consolazione.
Direttore del Laboratorio di ricerca sulle città e i paesaggi, Università di Bologna