Si fanno più cupi e preoccupanti gli scenari sui due fronti tragici delle guerre che per diversi profili ci coinvolgono da vicino. In Ucraina, cresce la pressione di Mosca nell’Est, con un tentativo massiccio di sfondare le linee della resistenza rimasta a corto di uomini e d munizioni. Intanto, il presidente Putin, appena insediatosi per il suo quinto mandato, annuncia esercitazioni con le bombe nucleari tattiche in risposta all’ipotesi che la Nato possa mandare soldati sul campo e permettere che le sue armi colpiscano il suolo russo. Si tratta probabilmente di un’escalation per ora solo verbale, ma che non può lasciare indifferenti. In Medio Oriente, sono ore decisive in bilico tra una tregua che darebbe finalmente respiro alla popolazione stremata di Gaza e il possibile attacco a Rafah, prevedibilmente ancora più sanguinoso per i civili di quanto siano stati finora gli assedi alle altre città della Striscia. Di fronte all’evolversi di queste drammatiche crisi, dalla società si levano voci contrastanti e a volte più rumorose che efficaci.
Lo si vede nel dibattito politico, nelle università, nei talk show televisivi e nelle poche manifestazioni di piazza. Due richiami lucidi e profondi sono arrivati però ieri a dirci che una via è tracciata per provare a evitare il baratro e riprendere le fila di un’iniziativa all’altezza delle migliori radici della nostra convivenza. Nel suo discorso all’Assemblea delle Nazioni Unite, le massime assise internazionali chiamate a un ruolo più incisivo anche attraverso una loro riforma, il Presidente della Repubblica ha richiamato con decisione i principi che devono guidare le relazioni fra Paesi e che l’Italia vuole avere come ideali. L’aspirazione alla pace (che “aiuta tutti, mentre le armi tolgono fondi alla lotta contro la fame”), il multilateralismo, il rispetto dei diritti di tutti i popoli, lo stop agli arsenali atomici, l’inclusività e il sostegno a chi ha più bisogno come i Paesi africani sono i riferimenti forti esplicitati da Sergio Mattarella. Il quale non ha mancato di sottolineare la gravità dell’invasione in Ucraina da parte della Russia e il diritto all’autodifesa dell’aggredito, con il sostegno delle altre nazioni, perché non può esservi un cessate il fuoco «purchessia che premi chi ha attaccato».
Altrettanto netto l’auspicio che non vi sia un’azione militare di Israele a Rafah e che gli abitanti di Gaza vedano rispettato il diritto umanitario anche grazie alla ripresa degli aiuti portati dall’Unrwa, l’agenzia Onu per i rifugiati cui molti Paesi, compresa l’Italia, hanno sospeso i finanziamenti. Con la stessa urgenza, gli ostaggi ebrei rapiti da Hamas vanno subito liberati e il terrorismo isolato. Iniziative da mettere in atto grazie a una diplomazia solida e determinata. Non c’è da esportare democrazia con la forza né da imporre valori ritenuti migliori di quelli altrui. Si tratta di portare l’autorevolezza di un modello di pace che ha funzionato negli ultimi 70 anni ed è davvero un esperimento unico: quello dell’Unione europea.
Lo hanno ricordato con una accorata lettera rivolta direttamente all’Europa il presidente della Cei e il presidente della Comece, l’organismo che riunisce gli episcopati del continente. «Che ruolo giochi nel mondo? Vogliamo che tu incida e porti la tua volontà di pace. Fai sentire la tua voce, così da stabilire nuovi equilibri e relazioni», scrivono il cardinale Zuppi e l’arcivescovo Crociata, che non esitano a esprimere la loro «meraviglia» perché 27 nazioni, «invece di litigare o ignorarsi», hanno scelto di «conoscersi e andare d’accordo». Oggi Kiev è un candidato a diventare il 28esimo membro della Ue, ma prima bisogna porre fine alla guerra. Si guarda, con qualche speranza di riavviare il dialogo, alla prossima conferenza che si terrà a Lucerna a metà giugno, subito dopo la riunione dei leader del G7 in Puglia. Anche la Santa Sede è stata invitata dalla Svizzera padrona di casa e si vedrà alla vigilia quale delegazione dal Vaticano volerà nella Confederazione.
Mancherà, com’è noto, proprio la Russia, che ha rifiutato la convocazione, benché Putin ancora ieri abbia detto di essere pronto alla trattativa, su un piano di parità. Un ruolo potrebbe svolgerlo, se volesse, la Cina. Tuttavia, la visita nel Vecchio Continente di Xi Jinping non ha lasciato intendere un cambio di linea di Pechino. La tappa a Belgrado per ricordare i 25 anni del bombardamento dell’ambasciata cinese durante la guerra del Kosovo (per errore, secondo gli Usa; deliberatamente, secondo i vertici del Dragone) segnala semmai la volontà di non fare concessioni all’Occidente. Sta allora proprio all’Europa provare a diventare protagonista insieme a Washington nei tentativi di rimettere in moto i negoziati tra Ucraina e Russia e accelerare il processo di pace tra Israele e palestinesi verso la direzione dei due Stati.
Nel momento in cui alcuni Paesi Ue si apprestano a riconoscere la Palestina, mentre altri sono graniticamente a fianco di Israele, anche questa prospettiva non sembra però così vicina. Eppure, la gravità di questo frangente chiama a uno sforzo senza precedenti. La partecipazione attiva degli elettori al voto del 6-9 giugno per il rinnovo dell’Europarlamento (invertendo il trend del disinteresse e dell’astensione – se ne vede qualche indicazione nel laicato cattolico) potrebbe essere un segnale di mobilitazione e uno sprone per i capi di Stato e di governo affinché trovino la volontà comune di agire per il bene di tutti senza calcoli né timidezze.