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È il 9 marzo 1933. Hitler è salito al potere da poco e il clima in Germania è già diventato pesantissimo per quanti non sono allineati al nazismo. Fra questi un tenace giornalista cattolico: Fritz Michael Gerlich, direttore di una testata, che già dal titolo - Der Gerade Weg (“la retta via”) - si annuncia coraggiosamente controcorrente. Porta baffetti simili a quelli che hanno reso tristemente famoso il volto del Führer; ma le idee dei due non potrebbero essere più diverse, tant’è che Gerlich, proprio quel giorno, viene arrestato dalle SA.
Nonostante Hitler fosse solo all’inizio della sua parabola politica, Gerlich gli aveva già dedicato articoli critici e fotomontaggi polemici, al punto da finire nell’elenco delle persone “sgradite”. Consapevoli dei rischi, i collaboratori del giornale, a loro volta, avevano studiato per il loro direttore una via di fuga, preparando una Chrysler con il serbatoio pieno. Bastava salirvi a bordo per finire in Svizzera, al sicuro. Gerlich, però, aveva ben altre priorità. «E io dovrei abbandonarvi tutti? Non se ne parla nemmeno. Sono pronto a rispondere con la mia vita per ciò che ho scritto». È proprio quello che accadrà: mentre si consuma la “notte dei lunghi coltelli” (l’eliminazione delle SA ad opera delle SS), il 30 giugno 1934 Frizt Gerlich viene ucciso nel lager di Dachau.
Al pari di Nikolaus Gross, anch’egli giornalista, impiccato nel 1944 e canonizzato nel 2001, Gerlich fa parte dei circa 140 martiri cattolici del nazismo ufficialmente riconosciuti dalla Conferenza episcopale tedesca. Non lo possiamo ancora onorare come santo, ma il 17 dicembre 2017 il cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco-Frisinga, ne ha solennemente avviato il processo di beatificazione, contestualmente a quello per il noto teologo e filosofo Romano Guardini.
Per rendersi conto della statura spirituale, oltre che dello spirito combattivo di Gerlich, basta leggere il prezioso volume Un giornalista contro Hitler (Mursia, 2008), a firma di Ovidio Dallera e Ilsemarie Brandmair: l’unica biografia disponibile in italiano di questo autentico anti-nazista della prima ora. Un uomo coraggioso, capofila a lungo dimenticato (ma non da Benedetto XVI, che nelle sue memorie lo cita esplicitamente) di quell’esercito di resistenti che non si piegarono all’ideologia della svastica. Franz Herre, importante intellettuale tedesco, osserva: «Chi si interessa di storia sa del fallito attentato a Hitler ad opera del colonnello Claus von Stauffenderg e ha una qualche idea della “Rosa Bianca”, il movimento di opposizione al nazismo capeggiato dai fratelli Scholl e da Kurt Huber. Senza sminuire la portata di queste due iniziative, non si può fare a meno di notare come esse siano “tardive”, coincidano cioè con il tramonto dell’avventura hitleriana».
Al contrario, Gerlich fa parte degli oppositori della prima ora, tra i quali figura anche il primo religioso tedesco a finire in un lager, il gesuita Josef Spieker. Come ricorda Luciano Garibaldi nel suo O la croce o la svastica (Lindau, 2009), a Colonia nel 1934, aveva esclamato durante una predica: «La Germania ha un solo Führer ed è Cristo!». Spieker verrà poi liberato e morirà nel 1968. Gerlich, invece, pagherà con la vita le sue prese di posizione senza se e senza ma.
Nato nel 1883 a Stettino, nell’allora Pomerania, Frizt Gerlich era stato educato alla fede calvinista dalla madre. Ma l’incontro con la mistica Teresa Neumann, la “veggente di Konnersreuth”, determina in lui un deciso cambiamento esistenziale: da tiepido calvinista che era, Gerlich, ormai alle soglie dei 50 anni, si trasforma in fervente cattolico. Il 29 settembre 1931 riceve il battesimo e, pochi giorni dopo, la Cresima. Ad accompagnarlo da vicino nel suo cammino di fede è il padre cappuccino Ingbert Naab, che l’anno prima aveva chiesto a Gerlich di scrivere per la rivista cattolica Der Weg (“La via”) di cui era direttore.
A combattere «la devianza di Hitler che porterà alla barbarie», Geerlich aveva iniziato già in precedenza, quando dirigeva l’autorevole testata Münchner Neueste Nachrichten. L’amicizia con padre Naab determinerà una svolta nell’impegno di Gerlich, il quale dalla fine del 1931 era passato al timone di una nuova rivista Illustrierter Sonntag (“La domenica illustrata”), caratterizzata da una linea politica molto spinta in senso anti-nazista. Le severe critiche a Hitler si intensificheranno ulteriormente dopo che la testata prenderà il nome di “Der Gerade Weg”, sottotitolo: “periodico tedesco per la verità e la giustizia”.
Per Gerlich, come per padre Naab, Hitler rappresentava l’incarnazione del Male, come scrisse il 21 luglio 1932 in un articolo dal titolo “Il nazionalsocialismo è una calamità”. Emilio Gentile, uno dei maggiori esperti di nazifascismo, nel suo volume Contro Cesare. Cristianesimo e totalitarismo nell’epoca dei fascismi (Feltrinelli, 2010), sottolinea il valore della testimonianza di Gerlich, in un tempo nel quale «vi erano alcuni sacerdoti e teologi che inneggiavano a Hitler e al nazionalsocialismo perché lo consideravano un partito compatibile con la dottrina cattolica: un valido baluardo contro la predominanza ebraica nella società, nella finanza e nella politica tedesca, oltre che un alleato nella lotta della Chiesa cattolica contro democrazia, liberalismo e marxismo». Come documentato da Kevin Spicer nel suo libro I sacerdoti di Hitler. Clero cattolico e nazionalsocialismo (Mondadori, 2010), l’antisemitismo era diffuso in casa cattolica, così come fra molti teologi e pastori luterani.
A colpi di articoli al vetriolo, ma pure di caricature e fotomontaggi, che ridicolizzavano razzismo e megalomania di Hitler, Der Gerade Weg si impose in poco tempo come la voce più critica contro il nazionalsocialismo e il suo progetto perverso: «Fare proclamare, nelle chiese ripulite dai crocifissi, la nuova religione del mito della razza». Per mettere fine all’attivismo di Gerlich i nazisti lo arrestarono, l’imprigionarono e arrivarono persino a spingerlo al suicidio, mettendogli in mano una pistola. Secca la replica: «Non mi uccido, sono cattolico». Il suo giornale fu soppresso e Gerlich venne fucilato, dopo mesi di prigionia durante i quali, con la Bibbia come compagna, non mancò di dar conto della sua fede. Vani, purtroppo, si rivelarono gli interventi di alcuni prelati per salvarlo. Ai giornali venne proibito di dare notizia dell’accaduto. Eppure la testimonianza di Gerlich rimane, in tutta la sua forza. Lo dimostra pure la pubblicazione di due nuove biografie, entrambe in tedesco, nel 2015 e nel 2016.
Nel 2005 il film La Rosa Bianca ha contribuito a far riscoprire la vicenda dei giovani antinazisti guidati da Sophie Scholl. Tre anni dopo nelle sale arrivava Operazione Valchiria, con Tom Cruise nei panni del colonnello tedesco Claus von Stauffenberg. Verrà il giorno in cui qualche produttore coraggioso (come accaduto nel 2019 per Una vita nascosta dedicato a Franz Jägerstätter) porterà sul grande schermo la vicenda di Fritz Michael Gerlich?