La radio fa paura perché raggiunge tutti. La sua semplicità mette in crisi i sistemi di controllo più sofisticati. E l’età avanzata non ne ha spento affatto la capacità di guardare avanti, di osare i linguaggi giovani. Tanto che, proseguendo nei paradossi della realtà, i podcast o social come Clubhouse, più che competitor , alternative, concorrenti, ricordano i bisbetici litigiosi per finta, i binari paralleli che corrono verso la stessa meta senza incrociarsi mai, la terza o quarta corsia realizzate per allargare la medesima autostrada.
È già capitato con la tv e il Web. Data per morta, la 'piccola scatola' come la chiamano i romantici, ha messo su casa anche nel futuribile, così che oggi non c’è catena commerciale, o banca, o ufficio pubblico senza una stazione internet o satellitare. Non stupisce allora che i regimi più autoritari l’abbiano presa di mira, puntando l’indice proprio contro di lei, voce antica che sa ancora raggiungere il cuore della gente. E basta un piccolo giro nel mondo delle libertà a rischio per incontrare anche in questo avvio di 2021 storie di microfoni spenti, di emittenti sigillate, di programmi proibiti.
Per restare in Europa, il premier ungherese Viktor Orbán ha deciso di revocare la licenza di trasmissione e di togliere la frequenza a Klubrádio, stazione privata di Budapest punita per la sua autonomia. La presunta colpa è in realtà un pretesto. Avrebbe comunicato in ritardo quanta musica ungherese trasmetteva. Una manchevolezza che neppure il pagamento della relativa multa ha potuto sanare. Poco lontano, in Polonia, i media indipendenti, comprese le stazioni radio, protestano contro un progetto di legge del governo di Mateusz Morawiecki che vuole imporre una tassa del 5% sulle pubblicità, entrando però anche, e qui sta il punto, nel merito dei contenuti, imponendo cioè di dare maggiore spazio alla propaganda nazionalista.
Il caso più clamoroso però arriva dalla Cina, dove il regime di Pechino ha deciso di oscurare nientepopodimeno che la Bbc ritenuta responsabile, sostiene l’autorità di vigilanza, di aver violato i regolamenti che 'garantiscono' la veridicità e l’imparzialità delle notizie, andando contro gli interessi nazionali del Paese asiatico. Si tratta in realtà di una assai meno nobile forma di rivalsa, una vendetta contro la decisione del governo londinese, il 4 febbraio scorso, di revocare la licenza al Cgtn, canale in lingua inglese dell’emittente statale cinese Cctv. In particolare, l’organismo di sorveglianza e regolamentazione sui media del Regno Unito ha stabilito che la Star China Media Ltd, società di diritto britannico a cui l’emittente faceva nominalmente capo, non era in grado di dimostrare un controllo reale sulla linea editoriale della Cgtn, riconducibile in ultima istanza al Partito comunista cinese.
Ancora una volta dunque il contrasto si gioca in punta di diritto, sul filo di equilibrio della libertà, cioè i perimetri dell’odierna Giornata mondiale della radio, che come ogni 13 febbraio ricorda la prima trasmissione, era il 1946, dell’Onu. Quel giorno, inviato da uno studio di fortuna, il messaggio inaugurale fu telegrafico: 'Queste sono le Nazioni Unite che chiamano i popoli del mondo'. Sono passati gli anni, sono cambiati gli strumenti di trasmissione e oggi la comunicazione radio sfrutta il digitale, il Dab+, ma il senso del mezzo, la sua importanza restano intatti.
Soprattutto nel Sud del mondo, specie nei Paesi con il pil basso e un analfabetismo diffuso, l’ex piccola scatola resta il mezzo di comunicazione per eccellenza, talvolta l’unico. Il solo in grado di raggiungere comunità altrimenti isolate. Per noi, nella parte ricca del pianeta, in auto, sul web o tramite una app, radio significa musica e notizie, per loro, per i villaggi senza niente, spesso è un modo altrimenti negato per entrare in dialogo con il resto della terra. Forse vale la pena pensarci quando l’accenderemo la prossima volta. E sarà quasi certamente oggi. Ascoltare la radio, se libera, indipendente, autonoma, è un modo per restringere i confini della nostra casa comune, significa poter parlare a tutti, vuol dire aprirsi all’ascolto del cuore del mondo.