Quel che dirò vale in campo letterario e linguistico, non ha alcun valore in campo politico. Sto avanzando delle riserve su alcune decisioni del nuovo governo. Nel nuovo governo son presenti con cariche ministeriali sei donne, e ognuna di esse nella presentazione ufficiale è stata chiamata “ministra” e non “ministro”. Lo trovo corretto e doveroso, non rivoluzionario: sono donne, di loro è giusto parlare al femminile. Poi però si va avanti con la notizia, e si scopre che Giorgia Meloni, nelle comunicazioni ufficiali, vien chiamata (il testo che ho qui davanti dice: «ha scelto di farsi chiamare») “il” presidente e non “la” presidente. Vedo anche che c’è una nota aggiunta dell’Accademia della Crusca, che dice così:
«Ognuno è libero di scegliere quale forma preferire». Non sono d’accordo né con Giorgia Meloni né con l’Accademia della Crusca. Avevo una collega scrittrice, una brava collega, con la quale mi son trovato a un incontro col pubblico, mi toccava presentarla, e l’ho chiamata “scrittrice”: lei s’è inalberata di colpo, m’ha strappato il microfono e m’ha corretto con veemenza: «Ma io pubblico con Einaudi e Feltrinelli, sono uno scrittore, non una scrittrice!».
Ho capito che s’era offesa. A lei “scrittrice” sembrava meno che “scrittore”. Per tutta la vita, era cresciuta e aveva lavorato ammirando gli scrittori, e sognando di diventare come loro, adesso era giunto il momento e pubblicava i suoi libri con i loro stessi editori, era come loro, meritava lo stesso titolo di “scrittore”, perché dunque chi la presentava la chiamava “scrittrice”? Se una che scrive libri entra in un’antologia intitolata “Scrittori del nostro tempo”, è anche lei uno “scrittore”, con dignità pari a tutti gli altri. Se la chiami “”scrittrice” la separi in una stanzetta a parte e minore.
Da scrittore-uomo dico subito che mi pare un timore assurdo. La verità è l’esatto contrario. Un editore pubblica più volentieri una donna che un uomo. Un lettore o una lettrice comprano più facilmente il libro di una donna che il libro di un uomo. Essere una scrittrice è più interessante. E così essere “una” presidente del consiglio è più “carico” che essere un presidente. A me pare che Giorgia Meloni, chiamando sé stessa “il presidente del Consiglio” invece che “la presiden-te”, lascia cadere per strada gran parte del fascino che sta nella sua carica.
La notizia della sua nomina a quel ruolo sta anche e soprattutto nel fatto che lei è donna, e quel ruolo finora è stato affidato sempre (sempre) a uomini. Se vuol presentare correttamente e compiutamente sé stessa deve dire “la presidente”, non è vero che può usare il termine che vuole. La Crusca sbaglia. Alla Crusca stanno professori, non scrittori.