Un colorato corteo a Londra per i 70 anni del Servizio sanitario inglese e per dire no a ulteriori tagli (Ansa)
Feste, premiazioni, visite organizzate in ospedali e programmi televisivi. Il Regno Unito festeggia in grande stile settant’anni di Servizio sanitario nazionale (Nhs). Nel lontano 5 luglio 1948, in un Paese distrutto dalla guerra, dove ancora mancava il cibo e l’inverno precedente aveva peggiorato la situazioni con alluvioni e copiose nevicate, il ministro laburista della Sanità Aneurin Bevan lanciava, per la prima volta al mondo, un sistema pubblico organizzato di distribuzione della sanità finanziato dalle tasse dei cittadini. Un’idea ambiziosissima e semplice nello stesso tempo. Un modello al quale avrebbero guardato tutti gli altri Paesi europei (Italia compresa, a partire dal 1978 con il Sistema sanitario nazionale). Grazie ai soldi dello Stato tutti sarebbero stati curati, pagando in modo indiretto e proporzionale alle proprie possibilità attraverso la dichiarazione dei redditi. I più ricchi avranno un conto più salato, i più poveri non pagheranno nulla o quasi.
Il progetto era nato da una commissione istituita nel 1942 e presieduta da William Beveridge (con Bevan il padre del Nhs). Gli effetti della grande riforma del 1948 sono qualcosa cui oggi siamo abituati ma che per l’epoca erano rivoluzionari. Gli ospedali divennero pubblici con una nazionalizzazione, i medici passarono tra i dipendenti statali, tutta la gestione e il controllo furono centralizzati al ministero. I risultati si mostrarono all’altezza dell’ambizione della riforma. Raddoppiò la spesa pubblica per la sanità, mentre il personale crebbe di circa il 50%, con diminuzione della mortalità e aumento della vita media. Solo con l’arrivo di Margaret Thatcher al governo vi furono cambiamenti sostanziali, con una gestione non più totalmente pubblica di un servizio che rimaneva però a copertura universale, introducendo così un elemento di mercato finalizzato ad aumentare l’efficienza dell’intero sistema.
«Il National Health Service – Nhs – è per noi inglesi una religione», spiega Geoffrey Rivett, lo storico più importante di questa istituzione, autore di Dalla culla alla tomba. Una storia del servizio sanitario nazionale. «Un vero bene comune, protetto e curato da tutti, laburisti e conservatori, aristocratici, classi medie e operai. Le persone più anziane si sentono in colpa, quando le loro cure sono troppo costose, perché sottraggono fondi a terapie necessarie a milioni di concittadini. Politici ricchissimi come David Cameron, che aveva un figlio gravemente disabile, preferiscono evitare strutture private per dimostrare che credono in una sanità democratica, pagata da tutti attraverso le tasse». In un sondaggio recente alla domanda «Qual è l’essenza dell’essere britannici?», la maggior parte degli intervistati ha risposto: «Poter usare il servizio sanitario nazionale». Pragmatico, furbo e grande visionario, Bevan pronunciò parole profetiche ancora oggi spesso citate su Twitter, mentre ci avviciniamo al settantesimo anniversario: «Non avremo mai tutto quello di cui abbiamo bisogno. Le aspettative supereranno sempre la capacità. Il Nhs deve sempre cambiare, crescere e migliorare. Deve sempre apparire inadeguato».
Settant’anni dopo quella inadeguatezza non potrebbe essere più evidente. Pronti Soccorso sovraffollati con file di ambulanze che aspettano fuori perché non riescono a far entrare i pazienti. Mancanza di letti ma anche di infermieri, dottori e specialisti. Il sogno di Bevan non ha retto ai cinque anni di tagli al welfare, fatti dal governo di David Cameron, durante il periodo dell’austerità, quando i nuovi investimenti scesero a poco oltre l’1% del Pil, dal livello di circa 4% dei precedenti sessant’anni. Secondo gli esperti, per anni, del Nhs non si è mai investito a sufficienza. Per l’Euro Health Consumer Index 2017, indice che fa una graduatoria del livello di qualità della sanità in Europa, basata su tempi di attesa, risultati e affidabilità, il Regno Unito si colloca al quindicesimo posto, accanto a Spagna e Repubblica Ceca. Il dito nella piaga degli esperti denuncia lunghi tempi di attesa, almeno diciotto settimane, per tutte le operazioni non urgenti, come la sostituzione della testa del femore. Una cultura manageriale autoritaria e il fatto che ai malati di cancro vengano negati medicinali indispensabili e cure radiaterapiche perché troppo costose.
Il Commonwealth Fund, prestigiosa fondazione privata americana, che promuove i sistemi sanitari in diversi Paesi del mondo e ne studia i risultati ogni tre anni, dà un voto tutto sommato molto positivo al sistema sanitario britannico se facciamo eccezione per risultati di terapie e guarigioni. Nell’ultimo rapporto intitolato 'Specchio, Specchio 2017: Un paragone internazionale riflette difetti e opportunità per una sanità americana migliore', i britannici si collocano al decimo posto, per malattie curate, dopo Austria, Svezia, Norvegia, Svizzera, Francia, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Germania e Canada. Battono tutti negli altri indicatori come sicurezza delle strutture e accesso agli ospedali. E arriviamo ai nostri giorni e a un primo ministro, Theresa May, forse ancora più furbo di Bevan, che ha promesso una nuova importante iniezione di contanti nel servizio sanitario nazionale dicendo che i soldi verranno in parte da un 'dividendo Brexit' che la Gran Bretagna incasserà, una volta lasciata l’Unione Europea, il 29 marzo 2019, in parte dalle tasse e in parte dalla crescita economica. Molti commentatori hanno messo un punto di domanda sul fatto che questi soldi in arrivo grazie all’addio da Bruxelles ci saranno davvero. Il regalo del primo ministro al Nhs, per il suo settantesimo compleanno, sarebbe di 20 miliardi di sterline, quasi 23 miliardi di euro, un aumento degli investimenti di circa il 3,4 % all’anno, per i prossimi cinque anni.
La cifra sarebbe il risultato di un compromesso tra la premier che spingeva per il 4% e il ministro del Tesoro, Philip Hammond, che non voleva superare il 3%, e un compromesso è stato raggiunto attorno al 3,4%. Tuttavia, secondo gli esperti, si tratta di un livello non sufficiente. A parere di due prestigiosi think tank britannici, l’Institute for Fiscal Studies e la Health Foundation, servirebbe un aumento di almeno il 4% negli investimenti per consentire alla sanità pubblica di migliorare e modernizzarsi. Un rapporto curato dai due centri – intitolato 'I costi del Nhs aumenteranno: ci vuole una soluzione per il finanziamento di lungo periodo e questo, quasi sicuramente, vorrà dire tasse più alte' – afferma che i fondi 'indispensabili' per salvare il sistema sanitario dal collasso dovranno arrivare dalle tasse e non dal dividendo della Brexit.
Sono d’accordo gli ordini professionali dei medici e delle infermiere, anche se l’aggravio medio sarà di 2.000 sterline – 2289 euro – per famiglia da spalmare nei prossimi quindici anni, per garantire a centinaia di ospedali e agli oltre 7.600 ambulatori le risorse minime necessarie per tirare avanti. Una proposta che va ben oltre il 2% massimo d’incremento della tassazione indicato dal governo conservatore di Theresa May e che, in parte, ricalca l’approccio del leader dell’opposizione laburista Jeremy Corbyn, favorevole a un intervento fiscale sui redditi medio alti per rilanciare sanità e welfare. «Le nuove terapie, che la medicina continua a mettere a disposizione, fanno sì che il servizio sanitario costi dieci volte in più di settant’anni fa», spiega Stephen Timmons, docente di Sociologia della salute e della malattia all’università di Nottingham. «Penso che il nostro sistema sanitario sia sempre stato finanziato meglio della maggior parte di quelli di altri Paesi e che sia piuttosto buono. Il problema è che i politici non hanno mai avuto il coraggio di dire che i cittadini devono pagare più tasse per mantenerlo», conclude Daniel Bentley, direttore editoriale di Civitas, centro studi sulla società britannica. Ma gli inglesi, soprattutto in questi giorni, continuano a dire: lunga vita al Nhs.