Si chiama Salvatore. Ho voluto incontrarlo. Sapevo che aveva molto da insegnarmi. Comincio da un giorno ormai lontano. Martedì 5 maggio 1998, sono le quattro del pomeriggio. In Campania piove da diversi giorni. A Sarno, nel Salernitano, e nei paesi limitrofi, la vita scorre serena, come sempre. Non c’è motivo per cui i cittadini dovrebbero essere in ansia. A memoria d’uomo, le montagne che circondano il paese non sono mai state minacciose.
Accade all’improvviso. Un fiume di fango inizia a scivolare giù e travolge le prime case. Il bilancio è pesante: due morti, uno è un bambino. Scatta l’allarme, arrivano i vigili del fuoco. Una valanga. Sarà l’unica o ne seguiranno altre? Purtroppo ce ne saranno diverse e faranno molte vittime. Alcuni paesi, di qua e di là della montagna, sono fortemente a rischio. I più colpiti saranno la frazione di Episcopio, dove risiede Salvatore, e Bracigliano e nell’Avellinese, il paese di Quindici. Iniziano le prime evacuazioni. Mezzanotte è passata da pochi minuti. Siamo ormai a mercoledì 6 maggio. Salvatore, padre di tre figli, tiene d’occhio la montagna e la casa che custodisce il suo tesoro. La zona non è tra quelle considerate a rischio. Fa freddo, e non smette di piovere. A pochi metri dalla sua casa sosta un gruppo di Vigili del fuoco.
Anch’essi bagnati e infreddoliti. La moglie di Salvatore li vede, ne ha compassione, corre a preparare un buon caffè caldo. Poi chiama suo marito e gli consegna il vassoio con le tazze, i biscotti e la caffettiera fumante. Salvatore, contento, prende il vassoio e si avvia verso i pompieri. Già pregusta la gioia della loro gratitudine. Un istante. Un istante solo. E tutto finisce. Un boato infernale squarcia il silenzio della notte. Un fiume di fango, detriti, rami e tronchi d’alberi precipita giù dalla montagna, travolgendo ogni cosa. Salvatore non ha ancora capito, si gira, vede e impazzisce dal dolore.
La sua casa è stata spazzata via. Letteralmente. In un istante si accorge di non avere più niente al mondo. Fuori di sé vuole correre verso il luogo dove, fino a un minuto prima, era stato felice. Glielo impediscono. È pericoloso. Da quel momento Salvatore non ricorderà più niente. Il bilancio sarà spaventoso. Insieme alla moglie e ai suoi tre figli sono stati travolti dal fango i suoceri, i cognati e alcuni nipoti. Anche il pompiere al quale stava consegnando il caffè è stato trascinato via. Salvatore è un uomo semplice e buono; un muratore forte e ancora giovane. Ha solo 44 anni. Il cimitero diventa l’unico luogo capace di mettere a tacere un poco il suo dolore. Di giorno e di notte.
Quando è chiuso, salta il muro per entrare. Il sindaco capisce e, per evitare che possa farsi male, gli consegna le chiavi. Ma a che serve continuare a vivere? Per chi? Per che cosa? Tutto, quest’uomo ha perso tutto, ma non la fede. Solo nella preghiera, nella Messa, riesce a trovare la forza per andare avanti. E il miracolo avviene. Proprio al cimitero, qualche anno dopo, incontra Giuseppina. Sul nodoso tronco abbattuto dal fulmine inizia a fare capolino una nuova gemma. Possibile? Sì. Dal matrimonio di Salvatore e Giuseppina sono nati due figlioli. Due giovanissimi artisti. Portano i nomi dei fratelli che non hanno mai conosciuto. Ascolto commosso, incredulo. È l’ora di pranzo. Salvatore mi invita a mangiare a casa sua. Non sono solo, siamo una decina di persone, e non voglio dar fastidio. Vengo gentilmente 'costretto' ad accettare. In un batter d’occhio, Giuseppina ha preparato il pranzo. È stato bellissimo. La gioia che si legge sui volti di questi nuovi amici è genuina, autentica, vera.
A un certo punto, Salvatore, mi abbraccia. Poi, guardandomi negli occhi, con la voce rotta dall’emozione: «Che gioia che mi hai dato, padre. Oggi Gesù Cristo è entrato in casa mia». Non è la prima volta che mi sento rivolgere queste parole da qualcuno. E ogni volta mi sento sprofondare. Ogni volta avverto forte la responsabilità di non deludere i fratelli, il dovere di non spegnere, con la mia incoerenza e il mio peccato, la fiducia di chi vede nel sacerdote Gesù, il Figlio di Dio. Stringo forte a me questo fratello tanto provato che ha saputo tenere accesa la fiamma della speranza e della fede. Che lezione mi ha dato. Che esame di coscienza dovrò fare.