A Mario Draghi è bastato rispondere alle domande dei giornalisti sull’Italia per trovare posto nella lunga lista dei "nemici" del Governo gialloverde e, per la proprietà transitiva populista che abbiamo imparato a conoscere in questi mesi grazie a Lega e 5stelle, dei "nemici del popolo". Colpevole di avere constatato che le banche italiane hanno titoli di Stato nei loro portafogli e quindi che se quei titoli di svalutano questo incide sui loro livelli di capitale, il presidente della Banca centrale europea è stato accusato dalle seconde linee della maggioranza come il senatore Alberto Bagnai o il deputato Claudio Borghi di seminare il panico sullo stato di salute delle nostre banche. Dopodiché è intervenuto il vicepresidente del Consiglio in persona, Luigi Di Maio, che ha attaccato l’ex governatore della Banca d’Italia accusandolo di «avvelenare il clima».
Per chi conosce anche solo un po’ come funziona una Banca centrale e quanto i governatori pesino le parole prima di fare una qualsiasi comunicazione pubblica tutto questo sarebbe anche ridicolo, se non si trattasse dell’Italia e di chi la sta governando. E di Draghi, che da settimane si sforza di mediare tra Roma e Bruxelles, nell’interesse dell’Italia e dell’Unione. Draghi – com’era naturale, perché quasi mai un banchiere centrale esprime le sue opinioni personali – non ha fatto altro che evidenziare un fatto evidente come il problema che la svalutazione dei Btp provoca alle banche. Ha detto cose che qualsiasi investitore, anche piccolo, già conosce perché stanno avvenendo da mesi. Attaccarlo per questo non ha nessun senso, se si vuole trattare seriamente la realtà. Può avere invece senso se la si vuole buttare in rissa, come fanno certe squadre di calcio stanche e in difficoltà negli ultimi minuti di una partita mediocre. La rissa emoziona, può spingere a schierarsi chi guarda senza distacco. Piace ai tifosi più scalmanati e come ha detto Di Maio rimproverando Draghi «siamo in un momento in cui bisogna tifare Italia» (e cioè, per la solita proprietà transitiva, per il governo Conte).
Questo governo tende a buttarla in rissa con tutti. Nella lista dei suoi nemici ora c’è Draghi, ma c’erano già la Commissione europea, l’Ocse, il Fondo monetario internazionale, la Banca d’Italia, le agenzie di rating, l’Ufficio parlamentare di bilancio, la Corte dei Conti, i tecnici del ministero del Tesoro. Tutti soggetti che si sono permessi di criticare tecnicamente la strategia economica del governo. E questa è solo la lista dei nemici economico-istituzionali, perché se ci allargassimo ad altri ambiti la lista nera occuperebbe diverse pagine del nostro giornale.
Ma perché ce l’hanno tutti con il Governo e con la sua "manovra del popolo"? A sentire ministri e parlamentari della maggioranza questi nemici sono l’élite, infuriata e atterrita perché finalmente a Palazzo Chigi c’è chi pensa alla povera gente e non ai soliti poteri forti.
Certo, governi e istituzioni negli anni hanno fatto i loro errori, ma occorre una immane dose di fiducia nei nostri governanti per avvalorare l’idea che più o meno tutti nelle istituzioni e organizzazioni internazionali adesso stiano cospirando contro gli italiani. Il complotto è così perfetto che, per quanto ci si sforzi, è quasi impossibile trovare un economista indipendente e minimamente titolato disposto a dire che sì, le previsioni del governo sul Pil sono credibili.
Questa storia di un mondo di cospiratori la si può raccontare senza problemi quando gli altri non sentono o sono zittiti dalla folla. Funziona a meraviglia su Facebook e Twitter, dove Salvini, Di Maio (ma anche più modestamente Borghi o Bagnai) possono incassare migliaia di like rivolgendosi direttamente a ogni singolo membro del loro "popolo" isolato davanti allo smartphone. Funziona un po’ peggio in televisione, dove infatti i 5stelle per anni hanno centellinato e gestito minuziosamente le presenze, perché già se c’è un contraddittorio sostenere tesi discutibili diventa complicato (qualche escamotage però c’è, come si vede dal proliferare nei talk show di sedicenti "economisti" spuntati dal nulla). Sui giornali è difficile davvero: occorre argomentare, rispondere alle domande, fidarsi dei giornalisti che scrivono.
Non sorprende che la stampa e i professionisti dell’informazione siano da tempo ai primi posti nella lista dei nemici di un Governo che ha fatto della «disintermediazione» un obiettivo chiave e punta a un rapporto diretto col popolo... Sono loro che come il bambino della celebre favola di Andersen possono indicare a tutti che "il re è nudo!" e descrivere una realtà diversa dall’epica di un Governo consegnato a una "sindrome dell’assedio" che difende il popolo dai suoi innumerevoli nemici. Soprattutto quando il suo nemico, come la difficoltà delle banche evidenziata da Draghi, non è una persona, ma la realtà.