In questi mesi, opportunamente, si è continuato a parlare di scuola e delle decisioni prese in vista del nuovo anno scolastico ormai iniziato. L’obiettivo era, e resta, partire sin da subito 'in presenza' e continuare così, con il massimo di garanzie per tutti. Ma sarebbe una miopia continuare a parlarne solo in termini organizzativi. La bella intervista di Alessandro Zaccuri a Franco Nembrini, pubblicata su questo giornale domenica 15 agosto, aiuta a tornare sul tema e in particolare sul rapporto tra genitori e insegnanti. È quanto mai importante rispetto all’emergenza educativa, alla più volte evidenziata necessità di 'alleanza' tra scuola e famiglia, ma ancora di più in questo tempo di pandemia.
Lo stesso Nembrini, a partire dalla sua ricca esperienza, evidenziava, sì, la diversità dei ruoli, ma anche le analogie, la complementarietà e la necessaria integrazione. Purtroppo, invece, negli ultimi anni, a detta degli stessi protagonisti, tra genitori e docenti è cresciuto un clima di conflittualità con le più svariate motivazioni. Certo, non è il conflitto in se stesso a essere negativo; esso può anche essere una grande opportunità di sviluppo. Ma sono necessarie alcune condizioni: se il conflitto scaturisce da un confronto franco e intelligente, dove eventualmente emergono diversità di vedute e di approcci, non solo non fa problema, ma bisogna quasi auspicarlo. In questo clima di omologazione e appiattimento sul 'politicamente corretto', qualunque questione si affronti, da quelle più pratiche a quelle più 'eticamente sensibili', una sana conflittualità è da ritrovare, mettendo da parte le reciproche scomuniche.
Se, invece, il conflitto tra genitori e docenti è frutto ed espressione, per esempio, di una reciproca delegittimazione, allora la cosa diventa preoccupante e non è priva di gravi conseguenze soprattutto sui ragazzi. Purtroppo, al di là di non rari e anche eclatanti casi di cronaca, bisogna registrare l’instaurarsi di un diffuso clima di conflittualità litigiosa e smemorata della comune 'missione' principale. Sempre più nel rapporto tra genitori e insegnanti negli ultimi anni hanno preso il sopravvento linguaggi e comportamenti che vanno dal pregiudizio all’insulto, dall’antipatia 'agita' all’accusa e alla recriminazione, fino a rasentare l’indecenza. In qualche situazione, poi, addirittura si è finiti in tribunale. In tutti questi casi, comunque, la situazione diventa pericolosa e interpella senza dubbio la coscienza morale di tutti: alle soglie di un nuovo inizio di anno scolastico, non possiamo dare il peggio di noi e contribuire ad avvelenare il clima sociale già incandescente. Un non piccolo numero di genitori spesso si schiera senza 'se' e senza 'ma' a difesa del proprio figlio, purché sia promosso, purché 'vinca', magari senza preoccuparsi di nul-l’altro, men che meno se studia o se agisce con correttezza e rispetto degli altri.
Di fronte a casi di bullismo sempre più frequenti non poche volte gli insegnanti si sono sentiti messi con le spalle al muro, quando non accusati e calunniati, da parte di genitori. La situazione è ben peggiore se anche nella scuola stessa non c’è un sufficiente lavoro di équipe e serpeggiano atteggiamenti di competizione o di 'scaricabarile', con poca autorevolezza anche da parte di chi riveste ruoli di dirigenza. Tra gli insegnanti stessi c’è, talvolta, chi si disimpegna progressivamente per non avere noie e, magari, spinge anche il collega a fare altrettanto con la classica frase: 'Ma chi te lo fa fare'! Vorrei, però, dire di un’altra forma deleteria di comportamento di cui ho raccolto l’eco negli anni recenti e che insieme dobbiamo combattere come genitori, insegnanti, dirigenti, educatori: la tendenza alla mediocrità, all’indifferenza o alla rassegnazione.
Non c’è cosa più dannosa e compromettente per i nostri ragazzi. Con queste considerazioni non intendo alimentare ulteriori atteggiamenti di giudizio, sia chiaro. Tra l’altro – e lo dico senza retorica – sento davvero che anche noi 'presbiteri educatori' dobbiamo fare una necessaria autocritica e chiederla alla comunità ecclesiale nel suo insieme. Piuttosto desidero sollecitare un’assunzione di responsabilità, perché ciascuno faccia la sua parte innanzitutto per bonificare l’atmosfera, per ricucire gli strappi e – soprattutto – per ricostruire la fiducia reciproca. Non dico che questo sia più urgente di quanto è necessario fare perché si possa fare scuola 'in presenza', per tutti e per tutto l’anno, ma è di certo più rilevante sul piano del progetto e del modello educativo di cui come adulti siamo responsabili.
Mettiamoci tutti in gioco; proviamo a favorire un clima di dialogo, di rispetto reciproco e di collaborazione, in vista di quel «patto educativo » non contro qualcuno, ma a favore dei nostri figli. Ricordiamo che bel rapporto genitori- docenti conta quanto vale anche nel rapporto di coppia: 'Quando due elefanti litigano, chi ci rimette è l’erba del prato'. E ricordiamoci che bisogna saper vedere, ed essere grati, per l’opera convergente di tutti quegli insegnanti e quei genitori che sono appassionatamente e quotidianamente impegnati nella convinzione che, come ha ricordato papa Francesco qualche tempo fa, «per educare un ragazzo ci vuole un intero villaggio».
Sacerdote e psicologo