Immersi in una narrazione che canta senza sosta le mirabilie della tecnologia intenta a prometterci livelli crescenti di benessere, forse neppure ci accorgiamo che è cambiato lo scenario condiviso nel quale si ambienta la nostra vita quotidiana. A scuoterci da un certo diffuso sopore a sfondo digitale mostrandoci impietosamente quali criteri pretendono di governare – non visti – giudizi, scelte e relazioni è occasionalmente l’episodio rivelatore, la notizia o il fenomeno che interroga coscienze alle quali mancano le parole per dire (e capire) un disorientamento profondo di fronte al venir meno di categorie elementari sui capisaldi della vita, sin dal suo affacciarsi sulla scena del mondo.
Per decifrare questo «cambiamento d’epoca», come più volte è stata definita l’impetuosa e indistinta transizione della quale siamo testimoni e abitanti, servono categorie culturali adeguate, una strumentazione di pensiero incisiva che ci consenta di mettere a fuoco la «vera e propria rivoluzione culturale» che «sta all’orizzonte della storia». Perché di questo si tratta, e il Papa rivolgendosi ieri alla Pontificia Accademia per la Vita ha voluto che fosse chiaro il livello al quale è indispensabile che i credenti si attestino, consapevoli che «la Chiesa, per prima, deve fare la sua parte». Riflettere, parlare, agire. Non possiamo vivere da ospiti sprovveduti di un mondo nel quale le coordinate della vita umana sono tracciate da quello che Bergoglio definisce lo «spregiudicato materialismo» che «caratterizza l’alleanza tra l’economia e la tecnica» e che coltiva il proprio miglior suddito, l’individuo affetto da «egolatria», imbevuto di una «cultura ossessivamente centrata sulla sovranità dell’uomo rispetto alla realtà».
Trascinata da questa corrente, la vita umana da dono che era si trova trasfigurata in una «risorsa da sfruttare o da scartare in funzione del potere e del profitto». Davvero non ci siamo accorti che la tecnologia con una mano ci blandisce elargendo comodità, gratificazioni e utopie mentre con l’altra riduce la stessa vita a bene commerciabile, con un prezzo e una valutazione di qualità? L’esaltazione dell’io spinge la relazione verso l’irrilevanza: ognuno vive per sé, tanto da svilire la convinzione fondamentale che è la differenza a creare nuova vita. È quella che il Papa definisce «l’utopia del neutro», che pare un capriccio intellettuale e invece colpisce come un maglio l’identità costitutiva dell’uomo, agendo al pari di un terremoto dalle «conseguenze gravissime per tutti gli affetti e i legami della vita» poiché «rimuove a un tempo sia la dignità umana della costituzione sessualmente differente sia la qualità personale della trasmissione generativa della vita».
Mentre ci vengono mostrati i potenziali trionfi della biomedicina – la selezione del figlio sano, la rimozione per via eugenetica di ogni difetto, la produzione di esseri umani in provetta come nelle più cupe distopie – si consuma la «manipolazione biologica e psichica della differenza sessuale» come oggetto di una libertà illimitata e per ciò stesso fonte di inganno e disillusione. Siamo alle radici di quella che è stata definita ideologia del gender, che così armata «rischia di smantellare la fonte di energia che alimenta l’alleanza dell’uomo e della donna e la rende creativa e feconda», quella «differenza benedetta» capolavoro dell’amore di Dio per la sua immagine resa umanità.
Il Papa della Laudato si’ ci consegna questa sua sintesi vertiginosa e fondativa per incoraggiarci a «resistere all’anestesia e all’avvilimento dell’umanesimo», all’«intimidazione esercitata nei confronti della generazione della vita», e scoprirci in grado di «articolare una sintesi antropologica all’altezza di questa sfida epocale ». Perché è tempo di «riprendere l’iniziativa» a partire dal tesoro che nessun editing genetico può sottrarci: l’alleanza generativa tra maschile e femminile, che contesta alla radice l’ideologia secondo la quale tutto ciò che è umano può essere «comprato e venduto, burocraticamente regolato e tecnicamente predisposto », un sistema di pensiero sterile e sterilizzante, tanto da concepire «città sempre più ostili ai bambini e comunità sempre più inospitali per gli anziani». Un deserto, dove la vita torna solo nell’incontro alla sorgente della nostra storia: quello sempre nuovo tra un uomo e una donna.