Giusto ieri l’ha ridetto. Anche con le parole: «È una bella giornata per domandarsi sulla propria vita cristiana, se la propria vita cristiana ha sempre aperto la strada a Gesù, se la propria vita è stata piena di quel gesto: indicare Gesù». E poi «ringraziare e ricominciare... con questa vecchiaia giovane o gioventù invecchiata – come il buon vino! – dare il passo in avanti per continuare a essere testimone di Cristo».
Sgoccioli di una vita? Non c’è nessun epilogo qui, e non c’è di mezzo nessun ego ingombrante a dire la sua, neppure recriminazioni. Anzi. Di nuovo quella trasparenza d’altro, riconoscente, feriale e serena. E quella semplicità che sola può venire dalla grazia ricevuta di un vissuto cristiano. Per papa Francesco è questa la «vecchiaia giovane» per «continuare a essere testimone di Cristo». Dove dire testimone equivale a dire tutto. E vuol dire esercizio di un primato come vuol dire conversione e missione. E visione ecclesiale. Sempre. Visione della verità e quindi di una Chiesa che per sua natura non può che vivere di luce riflessa, della quale non è il proprietario e non è padrone, ma vertice di una piramide rovesciata al quale è disceso come servo, Servus servorum Dei, abbassandosi al vertice dell’autorità che è quella del servizio voluto da Cristo.
«Hoc est culmen, simplicem esse cum sapientia», «questo è il culmine, essere semplici con sapienza», per dirla in perfetto accordo con il pensiero di san Giovanni Crisostomo, il patrono d’Oriente. «Signore Gesù, conservami il gusto e la pratica di questa semplicità che, tenendomi umile, mi avvicina di più al vostro spirito che attira e salva le anime». Così gli omaggi alla sua persona si svuotano, specie quelli degli adulatori. Così non può essere ridotto dentro la cornice di un personaggio. E così anche i compleanni passano. Ma non la festa del battesimo. «La data più importante della vita di un Papa è il battesimo» come affermò il cardinale belga Leo Suenens, giorno che per Bergoglio coincide proprio col Natale. Più volte ha detto che «è una data da festeggiare» perché «è la data della nostra rinascita come figli di Dio», perché lì «Lui ci sceglie» e «festeggiare quel giorno significa riaffermare la nostra adesione a Gesù e a vivere da cristiani, membri della Chiesa e di una umanità nuova».
Infatti «il battesimo vissuto è ciò che ci fa Chiesa, tutto il resto sono solo ministeri e servizi». Sono queste le prerogative di un «Papa cristiano», secondo l’espressione che era stata usata da Hannah Arendt per definire Giovanni XXIII e che spinsero la filosofa ebrea a scrivere quel profilo singolare di un uomo che alla banalità del male oppose la quotidianità pratica del bene. Che quest’uomo cristiano s’inscrivesse nella linea di coloro che spesso in umiltà hanno praticato, e non solo predicato, l’imitatio Christi è un problema ben più ampio che attiene proprio la quotidianità del bene e il suo fiorire, rispetto alle dinamiche di un’istituzione narcisistica della Chiesa.
Nel suo celebre Giornale dell’anima anche Giovanni XXIII aveva scritto in occasione del suo ottantesimo compleanno: «A ottant’anni cominciati, questo è ciò che importa: svuotarmi di me stesso, confortarmi nel Signore, e rimanere in confidenza della sua misericordia. Soprattutto voglio continuare a rispondere sempre bene per male, e a preferire, in tutto, il Vangelo». Il suo sgomento che di tanto in tanto traspariva non era dovuto alle tradizioni minacciate dall’età moderna, era dovuto alla certezza che la cristianità non aveva ancora compreso tutte le esigenze del Vangelo. In un colloquio, Guerry, arcivescovo di Cambrai, proprio di questo parlava: «Papa Giovanni mi confidava la sua sofferenza nel pensare che nel mondo tanti uomini di buona volontà pensavano che la Chiesa li rifiutasse e li condannasse. Allora, mostrandomi il crocifisso che era sul suo tavolo, mi disse animandosi: 'Ma io faccio il Cristo, apro loro fino in fondo le mie braccia. Io li amo e sono il loro padre. Sono sempre pronto ad accoglierli'. Poi, voltandosi verso di me: 'Monsignore, non si sono comprese tutte le esigenze del Vangelo'». Allargare le braccia fino in fondo, a tutti gli uomini: ecco l’esigenza evangelica e della grande Tradizione testimoniata oggi anche da papa Francesco, che invece le mille pseudo-tradizioni recenti impediscono di ben comprendere. E soprattutto di chiedere, per diventarne autentici testimoni.