Caro direttore,
«Mi sento umiliato fino al midollo». Scriveva così alla sua «cara Francesca », Enzo Tortora. E rileggere questa frase estratta dalle 'Lettere dal Carcere' ci permette di comprendere quell’oceano di disperazione che si vive – oggi come ieri – in diverse strutture di reclusione del nostro Paese. Come ha ricordato il presidente del Consiglio nel corso della visita al carcere di Santa Maria Capua a Vetere – dove vi sono state torture e violenze nei confronti dei detenuti – «le indagini in corso stabiliranno le responsabilità individuali, ma la responsabilità collettiva è di un sistema che va riformato », perché «non può esserci giustizia dove c’è abuso e non può esserci rieducazione dove c’è sopruso».
Quale dignità, quale rieducazione si può immaginare in istituti penitenziari che hanno un tasso di affollamento del 113% come ricordato dall’Associazione Antigone nell’annuale rapporto? Dall’inizio dell’anno – è sempre Antigone a dircelo – sono 18 le persone suicidate in carcere mentre nel 2020 sono state 62, uno ogni 10mila detenuti, il tasso più alto degli ultimi anni. Sono situazioni che ogni volta indignano, fanno gridare 'mai più', anche se spesso tutto continua come se niente fosse. Ogni uomo e donna che decide di porre fine alla propria esistenza in una struttura di reclusione è una sconfitta per lo Stato. È una sconfitta per tutti noi.
Ma ora abbiamo la possibilità di poter segnare un cambiamento anche perché, con il Pnrr, è previsto un investimento di 139,2 milioni per la costruzione e il miglioramento di padiglioni e spazi all’interno di strutture carcerarie, tra cui Santa Maria Capua Vetere. Con il Covid si è ridotta la presenza di anziani e malati all’interno delle strutture di reclusione. Bene. Ma, oggi, con un tasso di affollamento del 113% senza questa disposizione a che punto saremmo? In questi giorni si è parlato (e deciso) molto di prescrizione, di ragionevole durata del processo e di altri interventi legislativi che hanno come obiettivo una giustizia più celere, più garantista e anche più umana.
Si parla poco o nulla di altre importanti riforme che possono contribuire positivamente a rispettare il principio costituzionale per cui «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione dei detenuti». Tra queste la «giustizia riparativa», la depenalizzazione di reati minori (con sanzioni non detentive, ma immediate), il risarcimento e la riparazione del danno. Tutte misure tese al reinserimento sociale di chi ha sbagliato, al risarcimento delle vittime e che, come ci confermano i dati più recenti, incidono positivamente sulla diminuzione della recidiva e quindi sulla sicurezza dei cittadini.
Per decongestionare le carceri occorre rivedere anche la legge sulle droghe in modo da contrastare con più forza la criminalità e rafforzare la possibilità di recupero di chi della droga è schiavo. Troppe sono le reclusioni per detenzione di sostanze stupefacenti da parte di tossicodipendenti. Queste persone devono essere affidate ad altre strutture perché il carcere non è il luogo per la loro guarigione e per il loro reinserimento sociale e lavorativo. Dobbiamo realmente recuperare la logica dell’extrema ratio del carcere e, ancor di più, della carcerazione prima di una sentenza di condanna. Non scomodiamo più Voltaire o Dostoevskij che continuano a ricordarci che la civiltà di una nazione si misura dalle proprie carceri.
È tempo di fare, di prendere decisioni coraggiose e di invertire la rotta, per il rispetto della nostra Costituzione e per il bene delle nostre comunità. Si stanno facendo passi in avanti importanti, evitiamo di cedere al qualunquismo o, ancora una volta, alla strumentalizzazione della giustizia per finalità che nulla hanno a che vedere con la giustizia.
Avvocato, parlamentare europeo