Caro direttore,
l’istituto denominato '8 per mille', introdotto nell’ordinamento italiano nel 1985 (art. 47 della legge 222), è funzionale, come si sa, al finanziamento delle confessioni religiose o degli enti di interesse generale in luogo dell’intervento diretto dello Stato italiano. Analogamente, il '5 per mille', previsto a partire dalla legge finanziaria 2006 (e successive modifiche), è funzionale all’associazionismo del 'sociale', della ricerca etc. Sono entrambi congegni di gran pregio pratico e culturale perché consentono al cittadino di indicare allo Stato – che in questo caso agisce come mandatario (Corte Costituzionale n.202/207) – a quale istituzione religiosa o ente sociale, culturale, sportivo, di ricerca, o altro ancora, versare una quota dell’imposta dovuta secondo la dichiarazione dei redditi personali; e ciò, senza che la scelta adottata possa subire riverberi politici capaci di intaccarne la massa e deviarne lo scopo.
Più da vicino, tali istituti mettono in campo un esercizio di solidarietà orizzontale dove l’amministrazione si ritrae e affida al privato – un privato 'sociale' di grande qualità e tradizione in Italia, come sappiamo e come 'Avvenire' da sempre racconta – l’importante compito pubblico che in molte parti della nostra Costituzione è ricordato e spesso anche stabilito.
Al riguardo, negli ambienti in cui mi trovo a operare spesso ci si domanda: perché la volontà del contribuente di finanziare con il contributo 'permillare', ad esempio, alla ricerca scientifica contro le malattie rare o i tumori non debba comprendere anche le imposte successivamente accertate e riscosse dall’Agenzia delle Entrate relative alla medesima dichiarazione. Le ulteriori porzioni di tributo accertate e raccolte dall’ufficio finanziario, infatti, sebbene finiscano proprio in quella dichiarazione in cui è già presente la scelta, vengono trattenute per intero dall’Erario senza che sulle stesse, appunto, cadano gli effetti dell’opzione già esercitata. Poiché attraverso la rettifica amministrativa del reddito i nuovi elementi economici andranno a integrare la dichiarazione e ne diventeranno parte ex tunc, non si vede, dunque, una solida ragione per mantenere la prassi attuale.
Ora, non è questo il luogo per affrontare un dibattito ermeneutico sull’appena ricordato art. 47 della legge 222 (nella parte in cui precisa che: «...l’otto per mille è riferito all’imposta liquidata dagli uffici sulla base della dichiarazione dei redditi...»), all’interno del quale, per chi scrive, vi sarebbero comunque già spazi per sostenere – già con la formulazione attuale – la possibilità di ampliare gli effetti dell’opzione fino ad abbracciare l’ulteriore materia fiscale evasa. Qui, piuttosto, si vuole esprimere l’auspicio di un aiuto da parte del legislatore nel fare chiarezza ed eliminare il vistoso disallineamento logico tra i buoni princìpi che hanno ispirato gli istituti richiamati, il 'concetto' di dichiarazione dei redditi e le vicende giuridiche a essi collegate.
In breve, basterebbe un piccolo comma (presidente del Consiglio, ministro competente, parlamentari: voi potete deciderlo...) per rendere effettivo, fino all’ultimo centesimo, il diritto di aiutare istituzioni e associazionismo che per moltissimi cittadini italiani è ormai da diverso tempo anche un sentito 'dovere'.
Tributarista, già parlamentare della Repubblica