Potere del Black Friday (il Venerdì Nero). Su Facebook un brand di biancheria, dal nome inglese che potremmo tradurre 'Calzetti felici', propone solo per oggi una regalia formidabile, con lo stesso stile dei venditori di pentole che al mercato strepitano, con voce strozzata: «Mi voglio rovinare, regalo tutto, tutto!», e la gente rimane ipnotizzata davanti a tanto sforzo, si sentirebbe in colpa se non si fermasse e... I Calzetti felici promettono una vendita memorabile al «meno 40%». Meno 40 di che cosa, però? Il prezzo scontato non c’è, campeggia solo quel grasso 40, quasi la metà.
I calzetti felici sono severi capi per manager, il più sobrio è blu a pois arancioni, celesti e violetti, gli altri sembrano disegnati da alunni della scuola dell’infanzia, e forse lo sono. Il prezzo netto è 5,40 euro al paio. E meno male che è scontato. Potere del Black Friday. Fino a ieri ne facevamo serenamente a meno. In coda ai tg scorrevano le immagini da remoti Paesi con consumatori dagli occhi iniettati di sangue che saltellavano giulivi fuori dai negozi dove si erano appena comprati il terzo televisore Hd ultrapiatto con il favoloso meno 40, convinti di aver fatto un affare. Fanciulle spiaccicate, come falene attratte irresistibilmente dai fanali dei Tir, contro le vetrine in attesa dell’apertura. Fanatici che strappavano un sorriso di commiserazione. Poi ci siamo distratti ed eccolo qui, il Black Friday, schiuma sull’onda impetuosa dell’ecommerce.
Amazon comanda e i negozi reali devono adeguarsi, anche se non ne avrebbero alcuna voglia. Black, la colonna nera degli incassi che deve essere più lunga e pingue della colonna red, rossa, quella delle uscite. Il Venerdì nero dei Calzetti felici giunge subito dopo il Giorno del ringraziamento dei tacchini morenti e a ridosso del Natale del Cristo nascente, come antipasto per bulimici da abbuffata festaiola. E noi italiani subiamo l’ennesima colonizzazione cultural-commerciale di cui faremmo sinceramente a meno. Come antipasto natalizio, ad esempio, a Milano c’è sempre stata la fiera degli Obei Obei, in piazza Castello, dal 6 all’8 dicembre, tra l’Immacolata e Sant’Ambrogio. 'Sempre' nel senso che si fa da almeno sette secoli.
Si cammina, ci si guarda intorno, si annusa, si assaggia, si acquista qualcosa o non si acquista nulla, si visita il Castello ed è esperienza comunitaria e sensoriale al pari di tantissimi altri mercati e fiere d’Italia. Con la logica del Black Friday non c’entra niente, anzi è l’esatto contrario. Il Black Friday muta il sano e necessario consumo in bieco e forsennato consumismo; induce a possedere merci di cui non abbiamo alcun bisogno e che pigliamo perché «è una vera occasione»; ci spinge a cambiare oggetti che ancora funzionano benissimo perché «conviene». Conviene a chi ce li vende, senza dubbio alcuno. Così facendo sosteniamo i consumi e ringalluzziamo il Pil?
Se i prezzi si abbassano oltre la soglia del sottocosto, cosa possibile solo ad Amazon e agli imperi del commercio suoi simili, 'costringendo' a fare altrettanto chi non potrebbe permetterselo, l’illusorio vantaggio iniziale si tramuterà presto in tracollo. E la deriva culturale? Il Black Friday è l’ennesimo evento che ci spinge a concentrare la nostra attenzione, le nostre energie, la nostra mente e il nostro cuore verso il consumo, non come necessità tra le tante della vita, ma come primo e perfino unico traguardo. Il consumo come pensiero fisso e ossessivo, vale a dire il consumismo come ideologia totalitaria. Panico? Calma e gesso, voi che sapete resistere al fascino dei Calzetti felici saprete certamente cedere al fascino mite del Banco alimentare, il White Saturday (il Sabato Bianco) che oggi sfida con le sue agili motosiluranti le portaerei del Black Friday. Ogni gesto di allegra gratuità e di sobrio altruismo è una dose di antidoto iniettato nel corpo sociale intossicato.