Morire da regina, a 96 anni, tra i propri cari, dopo una straordinaria vita nel cuore del Novecento: non è forse un destino invidiabile quello di Elisabetta di Windsor, in un mondo che in tanta parte vive nella fame o nella guerra, nel mondo dei poveri, in cui pochi arrivano ai cinquant’anni? E allora perché piangono gli inglesi, non lo sanno, che alla fine tutti si muore? Eppure le tv di tutto il mondo mostrano la folla a Buckingham Palace: e in tutto il mondo molti alzano gli occhi, e restano a guardare.
Nei più maturi, un velo di malinconia. « London Bridge down »: in codice, la regina è morta. 96 colpi di cannone a salve percuotono la mat-tina di Londra: 96, quasi gli anni di un secolo. Ed è un po’ il Novecento, che oggi con Elisabetta, l’ultima sua leggenda, se ne va. Nel «cambiamento d’epoca» letto e annunciato da papa Francesco sta anche il congedarsi di quella regina che, da che siamo nati, abbiamo visto sempre, sorridente nell’assedio della folla. Nonostante gli scandali di famiglia, i divorzi, le maldicenze, con la corona in testa, come nelle fiabe. (Che anacronismo. Possibile esistano ancora le monarchie, nel Terzo millennio? Esistono. E, si direbbe a vedere gli inglesi, ancora qualcuno, ostinatamente, le ama).
La bambina venuta al mondo il 21 aprile 1926 comunque non ha scelto il suo destino. Obbediente, lo ha accettato: fin da piccola guardata a vista da nannies monumentali, e immobile, educata in noiosissime cerimonie, accanto ai genitori. Non pesa la corona, sulla testa di una ragazzina? Una sola volta si racconta, a 19 anni, 'scappò', pur chiedendo il permesso, e con la sorella si mescolò come una qualsiasi ragazza alla pazza di gioia di Londra, l’8 maggio 1945 – la vittoria, la pace. Le foto di Corte l’avevano mostrata coltivare verdura a Windsor, per dare l’esempio, e in divisa, ausiliaria dell’Esercito, sempre per essere d’esempio.
Un peso non da poco sulle spalle, portato con un’educazione e una fedeltà che ci appaiono, sì, cose totalmente d’altri tempi – ma tempi non necessariamente peggiori. Aveva 13 anni Elisabetta, nel ’39. «Le bambine non andranno via senza di me. Io non lascerò il re. E il re non se ne andrà mai», disse sua madre, quando i tedeschi iniziarono a bombardare. Fu allora che la figlia imparò che una regina non se ne va? E non è questo che affascina i sudditi, che i discendenti di una dinastia secolare incarnino ancora le origini di un popolo, e, arcanamente, la sua nobiltà? Non soffia ancora la nostalgia del mito, del diritto divino trasmesso col sangue, nel lutto di un grande moderno Paese, nel 2022? Noi non capiamo.
Forse neanche il nuovo re, Carlo, che parla del ruolo e dei doveri della monarchia che restano. Ma i nostri bambini nelle fiabe vogliono ancora re e regine: e i re devono essere coraggiosi, e le regine, bellissime. Entrambi giusti e saggi. E devono vivere felici e contenti, per sempre. (Al supermercato, una cassiera: «Con suo marito, Elisabetta è rimasta assieme 73 anni! » – e lo dice con ammirazione). Già, quel marito al quale cominciò a scrivere lettere a 13 anni, e che sposò ad appena 21. Quattro figli. L’uomo cui stette accanto, sola, a Westminster, nel giorno del funerale, la maschera del Covid sul volto.
E come sembrava sola davvero quel giorno, la regina di un ex un immenso impero. (Le ha retto, poi, il cuore, poco più di un anno). Ha conosciuto cinque Papi – da Pio XII a Francesco – , John Kennedy e Nelson Mandela, Madre Teresa e tutti i potenti del mondo. La storia le è scorsa dentro. Gli altri passavano, Elisabetta restava: coi suoi tailleur blu pavone o giallo canarino, che, lei invecchiando, intenerivano, come i cappelli grondanti rose o piume. Anacronistici, sì, del tutto anacronistici. Eppure confortava, che Elisabetta fosse ancora lì. Le bambine che applaudirono il corteo delle sue nozze hanno ottant’anni e piangono la regina, ma, insieme a lei, il tempo della loro vita. E intanto cambia il cielo, e trema il mondo – scivola sotto ai piedi, troppo veloce. Dicono che negli ultimi istanti tutta la vita ripassa davanti. Forse la regina ha scelto, fra tanti ricordi, quel giorno di maggio, quando, fanciulla come le altre, cantava per le strade di Londra. Felice: l’incubo finito, l’Europa in pace. Quel memorabile giorno: quando credevano, a Londra o a Roma, che quella pace sarebbe stata per sempre.