Questo sabato e la sua fatica
sabato 11 aprile 2020

«Non tutto andrà bene», scriveva Vaclav Havel alla moglie Olga dal carcere in cui fu rinchiuso per 4 anni. E continuando annotava: «Non so come tutto andrà. Devo accettare la possibilità che tutto, o almeno la maggior parte delle cose, vada male». Di fronte alla difficile situazione nella quale ci troviamo, l’ottimismo superficiale è pericoloso perché rischia di reggere la prova dei fatti, rovesciandosi poi repentinamente nel suo contrario. Quello che ci serve è piuttosto il coraggio di guardare la realtà così come è, nella sua durezza, senza però farsi schiacciare da essa. La speranza è tutto salvo che un sentimento mellifluo. È piuttosto una virtù che richiede audacia e fortezza. Realismo e visione.

Questo Sabato per i cristiani è un giorno di veglia. Di silenzio e attesa. Tra il sepolcro e la resurrezione. Simbolo potente della nostra stessa condizione umana, questa giornata assume un valore ancora più intenso in questi mesi di coronavirus. Siamo infatti sospesi. Tra il dolore delle ultime settimane e la tensione verso un futuro di cui non riusciamo ancora a vedere né i tempi né i contorni. Se non vogliamo farci travolgere dall’angoscia che pure abita i nostri cuori, non accontentiamoci di consolazioni superficiali. Ma coltiviamo la speranza dell’invisibile. Di ciò che, letteralmente, non si vede ancora. In questi giorni il governo e l’Europa stanno prendendo decisioni importanti circa le risorse finanziarie necessarie da mettere in campo per far fronte ai prossimi mesi. Non stanchiamoci di insistere affinché i governanti, liberati da ogni miopia, arrivino a decisioni sagge capaci di mettere tutti noi, e tutti i Paesi, in condizione di affrontare questa difficile situazione. Ma le risorse economiche, pur necessarie, da sole non basteranno. Né basta affermare che "la macchina debba ripartire al più presto". Prima di tutto perché non è possibile. Già troppa sabbia è entrata nel motore, ragione per cui la "ripartenza" sarà comunque lenta e difficoltosa. E, poi perché occorre stare attenti a non sprecare le fatiche di queste settimane. Guai a essere frettolosi rischiando così di ritrovarci al punto di partenza.

Quello che ci aspetta è l’attraversamento di un deserto: sappiamo già che il coronavirus, dopo aver causato tanto dolore, creerà disoccupazione e povertà, frustrazione e fatica, tensioni e conflitti. La ripresa sarà lenta e modulare e dovremo abituarci a una socialità ridotta e protetta. Il problema sarà quello di non farsi travolgere da tutte queste difficoltà. Ancora Havel ci aiuta: la speranza, scrive in un altro passo, non si limita alla semplice sopravvivenza. Ma è capace di trasfigurare la realtà. Trasformando la difficoltà in occasione di vera trasformazione. Così è per noi oggi: quando nelle prossime settimane si potrà tornare a uscire di casa, la sfida sarà quella di riuscire finalmente ad affrontare una serie di questioni che ci portiamo dietro da anni: la drastica semplificazione della burocrazia, il contrasto della disuguaglianze e della povertà, la lotta agli sprechi e alla corruzione, un investimento reale sulla famiglia, sui giovani, sulla scuola, sulla sanità, l’introduzione di nuovi modi di produzione più sostenibili, una nuova centralità del lavoro, rinnovato nelle sue modalità. E tanto altro ancora.

Quest’anno il Sabato santo non durerà solo 24 ore. Ma si estenderà per i prossimi mesi. Forse per i prossimi anni. La speranza dell’invisibile – che costituisce la trama profonda di questa giornata "sospesa" – ci aiuti allora a disegnare il ponte che dobbiamo costruire per raggiungere l’approdo che tutti desideriamo. Ma perché ciò possa accadere, c’è bisogno fin d’ora di sapere che quel ponte non si edificherà da solo, ma dovrà appoggiarsi sulle spalle di uomini e donne disposte a sostenerlo. Tutti uniti nella tensione verso una grande impresa comune. Coltiviamo, allora, la virtù della speranza, tanto necessaria per reggere questo tempo e le sue tensioni. In attesa di quel domani che deve ancora venire, e che verrà: la Pasqua di Resurrezione.

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