Sono tre le interpretazioni prevalenti dell’affrettato vertice Ue di venerdì sulle politiche dell’asilo. Non dell’immigrazione, che è questione ben più ampia e complessa, da non circoscrivere agli approdi via mare e all’arrivo di persone in cerca di protezione umanitaria.
La prima interpretazione è minimalista: niente di nuovo sotto il sole. La solita riaffermazione astratta del dovere di salvare le vite umane in pericolo, e ci mancherebbe. La solita ritrita solfa della necessità di un maggiore coordinamento tra governi e istituzioni europee e sovranazionali. La solita volontà di coinvolgere i Paesi della sponda Sud del Mediterraneo nel controllo delle partenze e nella riammissione degli espulsi, usando la carota degli aiuti economici e il bastone della minaccia di sanzioni. I soliti proclami di lotta contro i trafficanti, dietro cui si nasconde il rifiuto di accogliere i profughi. La solita solidarietà volontaria per i ricollocamenti, che lascia tranquilli (e cinici) i governi sovranisti, improbabili alleati del nostro attuale esecutivo, ma del tutto sordi alle sue richieste. La solita visione grossolana e infondata del rapporto tra aiuti all’Africa, in sé doverosi, processi di sviluppo, in sé più che auspicabili, e prevenzione dei movimenti delle persone, concettualmente errata e politicamente ingiusta, come se bastasse mandare qualche milione di euro nei Paesi di origine per fermare la mobilità umana.
La seconda interpretazione è invece possibilista, persino enfatica in alcune esternazioni di parte italiana: finalmente si è messa a fuoco la questione delle navi umanitarie nelle acque del Mediterraneo, si citano gli Stati di bandiera delle navi come attori da coinvolgere, si riconosce la necessità di regolamentare le attività di salvataggio, aprendo la strada all’imposizione del cosiddetto “codice di condotta”. Finalmente si parla di una responsabilità da condividere, anziché lasciare il fardello sulle spalle dei Paesi di approdo.
La terza interpretazione è politicista: pone l’accento sullo scontro Italia-Francia, rilanciato e non appianato dal vertice: il governo francese chiede che il governo italiano accolga tutte le navi in arrivo, comprese quelle delle vituperate Ong, come condizione per impegnarsi nei ricollocamenti, mentre quello italiano ha obiettivi opposti: meno navi nei propri porti e più ricollocamenti di chi malgrado tutto riesce a sbarcare.
Probabilmente c’è del vero in tutte e tre le versioni: nel vertice si ritrovano linee già note, magari spruzzate dai comunicatori con una retorica nuovista, insieme ad alcuni spunti che potrebbero essere forieri di passi sostanziali. E la tensione con la Francia è di nuovo alta. Il problema è che in tutti e tre i casi i governi della Ue vanno nella direzione sbagliata.Pressati dal populismo anti-immi-grati, ne adottano largamente la visione e le soluzioni, pur mantenendo un linguaggio formalmente ineccepibile. La loro preoccupazione fondamentale è fermare l’arrivo dei profughi, non proteggerli. E quando non possono fare a meno di accoglierli, scoppia la diatriba su chi debba farsene carico.
Notando per esempio che dalla rotta balcanica ne stanno arrivando nella Ue più che dalla rotta marittima del Mediterraneo centrale (130mila contro 90mila circa). Altri profughi ancora giungono con mezzi diversi, compresi i voli aerei dal Venezuela, tanto che i nostri principali partner europei ne accolgono più di noi, come più volte ricordato su queste colonne.
La voglia di muri è tale da spingere noi europei a ingaggiare ancora di più nel lavoro sporco del blocco delle persone governi autoritari, polizie violente, milizie senza controllo. Persino gli aiuti umanitari vengono piegati al progetto di controllo delle frontiere contro la mobilità di chi proviene dal Sud del mondo. Sbagliata e irrealistica anche l’idea dei ricollocamenti, volontari od obbligatori che siano: le persone accolte dovrebbero poter decidere dove ricostruire la propria vita, non essere sballottate attraverso il continente contro la loro volontà. Come se si trattasse di rifiuti tossici da rifilare a qualche vicino perché li smaltisca. Tra l’altro gli ingenti movimenti secondari dei rifugiati che approdano in Italia o in Grecia, e poi cercano in tutti i modi di raggiungere altri Paesi (30mila i movimenti secondari registrati in Francia), mostrano che le persone, per quanto sprovviste di risorse, non si piegano docilmente alle imposizioni dei governi. Un’altra Europa è possibile. Il paradosso è che l’abbiamo già vista all’opera nell’accoglienza dei profughi ucraini. Ma stentiamo a rendercene conto e a prenderla ad esempio. Sogniamo un vertice Ue che dica: anche per altri profughi applichiamo il medesimo modello.